Il 29 aprile presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca si è svolto il seminario “Cesare Musatti e la psicoanalisi in Italia” all’interno del ciclo di incontri La psicoanalisi italiana si racconta… organizzati dal corso di Storia della Psicologia tenuto dai professori Mauro Antonelli e Roberta Passione, dal corso di Psicologia dello sviluppo socio-emotivo tenuto dalla professoressa Cristina Riva Crugnola, dall’ASPI e da noi del CSCP.
Durante il seminario sono intervenuti il professor Pietro Rizzi e la dottoressa Anna Ferruta, che hanno descritto e analizzato la figura di Musatti sia come accademico, psicoanalista e uomo di grande cultura.
Visto la numerosa partecipazione e l’interesse per questo seminario, abbiamo chiesto alla dottoressa Ferruta di poter pubblicare il suo intervento, per chi avesse voglia di leggerlo e studiarlo per la prima volta o chi volesse risentirlo.
In questo si descrive Cesare Musatti come psicoanalista, clinico di grande esperienza e anche maestro di tante generazioni successive di psicoanalisti.
Anna Ferruta è psicologa, psicoterapeuta, psicoanalista. Membro Ord. con funzioni di training della SPI e dell’IPA. Svolge l’attività di psicoanalista come libera professione, con interessi clinici rivolti alla cura delle situazioni, specie giovanili, di blocco nel processo di maturazione psichica e di costruzione di un’individualità definita. Già Segretario Scientifico del Centro Milanese di Psicoanalisi, attualmente è Segretario Scientifico Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana e Segretario Nazionale del Training della SPI.
Musatti psicoanalista (1897-1989)
di Anna Ferruta
Musatti fu tra i fondatori della Società Psicoanalitica italiana nel 1932 e Presidente della SPI due volte, nel 1951-55 e nel 1959-63, dopo Edoardo Weiss (1932-39) e Nicola Perrotti (1946-51). L’interesse per il funzionamento mentale che si attiva nel sogno è sempre stato al centro dei suoi studi e della sua pratica clinica, come luogo centrale in cui convergeva la complessità dei suoi interessi di epistemologo, percettologo, analista, umanista, soggetto sociale. Ne sono testimonianza il fatto stesso che il suo primo lavoro pubblicato sulla Rivista di Psicoanalisi fu ‘Simbolismo onirico e sogni ricorrenti’ (1933) e l’ultimo ‘La formazione dell’oggetto e il problema dei sogni in fase fetale’ (1984). Nel Trattato di Psicoanalisi (1949) il capitolo “La teoria psicoanalitica del sogno” costituisce il contributo più importante e dettagliato, per la profondità e l’ampiezza delle argomentazioni.
Parlare di Cesare Musatti psicoanalista è fondamentale: non è l’aspetto della sua figura complessa che viene messo maggiormente in luce, anche se svolse una grande attività clinica, come a confermare una verità fondamentale, quella che si impara curando i pazienti, come osserva Winnicott nella dedica di Gioco e realtà (1971: ‘Ai miei pazienti che mi hanno pagato per insegnarmi’). I principali esponenti della psicoanalisi italiana sono stati analizzati da lui: basti ricordare Franco Fornari e Luciana Nissim e Elvio Fachinelli, Franco Ferradini, Mariangela Barbieri, Bianca Gatti, Giovanni Carlo Zapparoli, lo stesso Francesco Caracciolo[1] della società Junghiana. E pure numerosi esponenti del mondo intellettuale e artistico e imprenditoriale si rivolsero a lui per affrontare le loro difficoltà (Manager e psicoanalisi, I Girasoli, p.61[2]) , proprio come accadeva nella Vienna di Freud a cui si rivolsero Gustav Mahler, Bruno Walter, e molti altri. E pure numerosi sconosciuti e amati pazienti frequentarono il suo studio e la piccola stanza di attesa, che amava chiamare, per la sua piccolezza, l’appendipazienti.
Che tipo di analista fu Musatti? In che modo praticava l’analisi nella clinica? E’ il tema di oggi, che non vuole essere celebrativo, ma di ricerca e scienza.
Questo della ricerca e della scienza era un punto dell’esercizio della psicoanalisi che Musatti aveva caro: la sua ricca umanità, la sua simpatia per l’altro, il diverso, la sua inesausta curiosità erano doti naturali utili per esercitare la terapia analitica (Il segreto dell’ottimista, in: I Girasoli, p. 99[3]). Di questa aveva ben fermi alcuni parametri che gli permisero di diffondere il metodo psicoanalitico con chiarezza e rigore didattico. Vorrei solo accennare ad alcuni elementi che era solito ricordare e sottolineare.
Analisi personale – Musatti affermava che aveva fatto tre mesi di analisi con Benussi e poi di essersi, per necessità, dopo la morte del maestro, dedicato all’autoanalisi, come Freud [4]. La sua identificazione con Freud percorre e ispira lo stesso progetto di scrivere il Trattato di psicoanalisi, nel quale utilizza quasi esclusivamente il materiale dei propri sogni. Nel ripercorrere le tappe della teorizzazione freudiana Musatti si immerge in una profonda identificazione con il maestro, a partire dagli inizi suggestivi e ipnotici, passando per studi sull’isteria e su Janet, fino alla comprensione della realtà psichica e al lavoro sui sogni (Reichmann, p. 395 e 397). Al tempo stesso manifesta anche indipendenza da Freud, come scrive nell’introduzione al Trattato: “ Alla mia indipendenza di giudizio non ho mai rinunciato; e con tutta l’ammirazione che ho per Freud e per l’opera sua , di tale indipendenza faccio uso anche in questo libro, segnando quei punti delle dottrine freudiane che mi lasciano dubbioso o perplesso, o che mi sembrano bisognosi di chiarimenti, di integrazioni o di revisioni. E soprattutto sono ben consapevole che nella scienza empirica nulla vi è di assolutamente definitivo.” ( p.XIX)
Nello scritto Mia sorella gemella, ad esempio, parla in modo scherzoso, con un witz, della sua identificazione con la psicoanalisi, come teoria e come pratica: racconta che il lunedì 20 settembre 1897 Freud passò in treno, mente viaggiava da Padova a Venezia, davanti alla casa di campagna di suo nonno, sulla riviera del Brenta, tra Mira e Dolo, il casello 12, dove si trovava sua madre incinta di lui da sette mesi. Il giorno dopo, il 21 settembre, nacque Musatti prematuro e in pericolo di vita, e Freud, tornato a Vienna, scrisse a Fliess la famosa lettera ritenuta data di inizio della psicoanalisi come disciplina autonoma, nella quale sosteneva di avere erroneamente indicato l’origine delle nevrosi nel trauma sessuale infantile subito e si orientava decisamente verso la teoria psicoanalitica di costruzione del mondo interno sulla base di fantasie inconsce. Musatti descrive la psicoanalisi come sua sorella gemella, essendo entrambi venuti al mondo con difficoltà: “Intanto la mia sorella gemella vivacchiava essa pure, e poneva problemi analoghi ai miei. E’ vitale, o non lo è?” (p.14).
L’identificazione di Musatti con la psicoanalisi gli ha permesso di utilizzare molte situazioni personali provate per illustrare le problematiche affrontate anche con pazienti che presentavano diverse patologie.
Nello scritto Medice, cura te ipsum? Musatti entra in argomento prendendo spunto dal ricordo di un concorso per professore aggregato di psicologia da lui presieduto, dove l’unico candidato era uno psicoanalista e la prova pratica che doveva sostenere consisteva nell’esporre l’analisi del sogno di un paziente. Musatti coglie qui l’occasione per esplicitare che per condurre una psicoanalisi è indispensabile un processo di identificazione al paziente, poggiante su propri vissuti ed esperienze personali, utilizzati come strumenti di lavoro. Ma affronta anche la questione del ruolo cruciale dell’analisi didattica per la formazione di uno psicoanalista, e sostiene che l’autoanalisi “viene sempre messa in atto durante il lavoro analitico esercitato su altre persone. Non vi è quindi alcuna analisi che non sia contemporaneamente autoanalisi” (p.23). Si tratta di un’affermazione impegnativa, che sottolinea come il lavoro analitico richieda allo psicoanalista una disciplina e una costante applicazione a sé del lavoro che sta svolgendo con altri, se intende far sì che quella che esercita sia davvero psicoanalisi, la disciplina che lavora sull’inconscio tramite l’inconscio di chi la pratica. Offre anche un breve scorcio della sua analisi con il Maestro Vittorio Benussi, troppo precocemente interrotta, con il ricordo dell’interpretazione del primo sogno in ‘Corte Capitaniato, 5’ , proprio come ancor oggi si riscontra nei racconti di molti analizzati, nei quali resta impressa la prima interpretazione “Avevo un conto aperto presso un libraio, e lo saldavo periodicamente. Tuttavia, poiché il mensile che mio padre mi passava non era sufficiente per questa spesa extra, dovevo ogni volta richiedergli una somma supplementare. (…) Il sogno, come fu spiegato da Benussi, esprimeva l’intenzione di imbrogliare il libraio, in modo da poter domandare un contributo inferiore. Rimasi molto male per questa interpretazione. “(in: Curar nevrotici con la propria autoanalisi, p.30).
Musatti racconta di avere voluto a un certo punto della sua lunga vita ottemperare all’indicazione freudiana che consigliava agli psicoanalisti di effettuare un supplemento di analisi con un collega, ogni cinque anni. Nella prima seduta della nuova tranche di analisi fa un lapsus, dicendo gerani (da geròn -vecchio) invece di girasoli, e su questo lapsus sviluppa una lunga catena associativa incentrata sulla sua resistenza a lasciare il passo ai giovani, figli e allievi ( I Girasoli).
Il transfert: Musatti affermava che, per quanto un analista possa essere cauto nel riferire a sé come oggetto di transfert le comunicazioni del paziente, si troverà sempre a sottovalutarne la valenza transferale che, proprio per la qualità del setting analitico, eccede la verosimiglianza fenomenica e viaggia sulle coordinate dell’inconscio, per cui età, genere sessuale, aspetto, abitudini dell’analista diventano secondarie rispetto all’intensità dell’attribuzione transferale di caratteristiche desiderate-odiate, a seconda dei momenti.
La sua descrizione della vicenda psicoanalitica, su base non teorica ma esperienziale, è incentrata, naturalmente, intorno al complesso di Edipo. Lo incontriamo nel racconto di due dolorosi episodi della sua vita nei quali si rende conto della propria indomabile aggressività verso il padre e il maestro, ancora attiva. Preso da “quell’interno furore” vorrebbe ancora “stritolare l’avversario” nella partita a scacchi della vita: “Non sono io che vinco, non sono io che gioco. C’è qualcun altro in me che lo fa. E l’impulso che agisce è un vero impulso omicida” (Scacchi e parricidio, in Il pronipote di Giulio Cesare, p. 95).
Gli scritti raccolti in alcuni volumi divulgativi pubblicati negli ultimi anni della sua vita permettono di sfogliare altri capitoli principali della psicoanalisi, sempre attraverso sequenze cliniche narrative: il desiderio dell’incesto, come primum movens di ogni innamoramento (“un fattore specifico che sospinge il rapporto amoroso verso il passato, escludendolo, in genere, dal futuro”, in ‘Quella volta che mi innamorai di mia nonna’, in: Questa notte ho fatto un sogno, p.75); la permanenza nella propria mente delle parole dei genitori, traccia di un Superio infantile, non ancora trasformato e fatto proprio, attivo anche quando, come Tenente, si trovava in trincea sotto il sibilare delle pallottole ( “Le cose dette dagli adulti, quando eravamo bambini, hanno la proprietà di restarci impresse, e di assumere il carattere di dogmi infallibili: e questo malgrado tutte le differenti successive esperienze che possiamo aver avuto” (Il diverticolo, in: Questa notte ho fatto un sogno, p.99); gli attacchi di angoscia di fronte agli spazi illimitati della libertà finalmente conquistati da chi è sopravvissuto alla dittatura (La paura della libertà, in: Questa notte ho fatto un sogno,); l’eccitazione ricercata nel pericolo, anche dai bambini, che amano provare spavento, come nel gioco ripetuto fatto dal giovane Musatti per il figlio e il nipotino per esorcizzare le paure dell’annullamento, psichico e fisico (“Zio, zio, fa il leone”, in Il fascino del rischio, in: I Girasoli, p.101),
In questi scritti Musatti rivela le sue capacità di straordinario narratore degli affetti e delle quotidiane vicende che costituiscono la vita di ogni essere umano e che ogni percorso psicoanalitico porta alla luce e svela, fino al doloroso riconoscimento della sua difficoltà ad affrontare il conflitto con le nuove generazioni.
Il sogno resta il pilastro della sua concezione analitica, a cominciare dall’importanza conferita a questo tema nel suo Trattato, sul quale si sono formate generazioni di studenti e analisti, fino ad arrivare al racconto dei suoi sogni come cardine di una necessaria autoanalisi che dura tutta la vita.
L’interesse di Musatti parte da Freud e dalla sua geniale comprensione della diversità del linguaggio del sogno: “ Ora questo lavoro onirico vero e proprio si stacca dal modello del pensiero vigile molto più di quanto abbiano supposto perfino i denigratori più accesi dell’opera della psiche nella creazione del sogno. Non che esso sia più sciatto, più scorretto, più smemorato, più incompleto del pensiero vigile; è qualche cosa di interamente diverso qualitativamente e perciò non immediatamente confrontabile con esso. Non pensa, non calcola, non giudica affatto, ma si limita a trasformare.”(Freud, L’Interpretazione dei sogni, p.463).
Il sogno come via aurea di accesso all’inconscio, il sogno come prova del funzionamento psichico complesso che opera nella direzione della rappresentazione anche di emozioni e contenuti che diversamente verrebbero rigettati nel soma, o nell’angoscia, pronti a riemergere come disturbo in circostanze traumatizzanti.
In ‘Il sogno e la comune attività del nostro pensiero”, in (I Girasoli: “ , p.152-153 ) Musatti afferma: “Dobbiamo avvertire quell’uomo di buon senso: bada che la realtà te la sei fatta tu stesso. E i vari elementi di cui ti sembra costituita, non sono diversi dagli elementi dei tuoi sogni, o dalle immagini di quei pazzerelloni che per te sono gli artisti, i fantasiosi, e persino gli invasati, e i matti da manicomio (quando, con un nome o con un altro, questo ancora funzionava). (…)Tuttavia, se le cose stanno così, non possiamo più considerare il sogno o il delirio, o la fantasticheria, come un derivato dalla conoscenza che abbiamo fatto della realtà. Ma all’opposto. (…) Non la realtà si liquefa nel sogno, ma il sogno si rapprende e solidifica, a costruire per ciascuno di noi l’universo in cui viviamo.”
Il primo lavoro sulla Rivista di Psicoanalisi (1933), come già ricordato, riguarda i sogni ricorrenti: Musatti fa una sapiente analisi di sogni con le figure ricorrenti dell’orologio, d’esame, del cavallo, della perdita dei denti, fuori da ogni riduttivo uso del simbolismo onirico:
“Ogni forma di simbolismo si fonda sulle analogie formali che sussistono fra l’oggetto o la situazione simboleggiati ed i simboli stessi. Ma un qualsiasi oggetto o fatto presenta analogie formali con infiniti altri oggetti e fatti. Se si considerano perciò in tal modo a priori le possibilità che un oggetto ha di rappresentare simbolicamente altri oggetti, tali possibilità si presentano come estremamente numerose e come egualmente probabili: la scelta fra quelle possibilità non può perciò apparire che come assolutamente arbitraria..(…)
Il mezzo migliore sembra possa essere costituito dal far partecipare i soggetti stessi, ai quali le interpretazioni vengono esposte, al lavoro di interpretazione, o per lo meno nel presentare ad essi casi particolari di interpretazione che non richiedano (o che richiedano in misura minima) l’ausilio di una precedente esperienza o l’uso di particolari criteri interpretativi già accertati, ma che s’impongono invece da sé soli, così che i soggetti li possano – e li debbano – accettare senza doversi fondare sulla autorità altrui.”(p.112)[5]
Musatti va alla ricerca di spiegare il sogno con il meccanismo del sogno stesso, cogliendo nella ricorrenza una struttura dell’attività mentale del soggetto e cercando il significato nei nessi associativi (come poi sarà sviluppato da autori diversi, come Edelmann, Green, Bollas). Il sogno è anche il tema dell’ultimo lavoro pubblicato sulla Rivista di Psicoanalisi,’La formazione dell’oggetto e il problema dei sogni in fase fetale’ (1984).
Ma soprattutto il sogno compare come elemento centrale del suo percorso di psicoanalista: in ‘Sogni e simbolismo: in ‘Il mio primo paziente’ ( Curar nevrotici con la propria autoanalisi, p. 35) narra lo strano inizio della sua attività clinica, più capitata che scelta, ”decisa” da un paziente che si impone alla sua attenzione con sogni di orologi da riparare, in un primo tempo apparsi noiosamente ripetitivi e poi rivelatisi di interesse analitico. In ‘Alla conquista dell’impero’ (Curar nevrotici con la propria autoanalisi, p.93) ripropone invece la sintesi di un suo sogno risalente al 1934 e già ampiamente esposto nel Trattato di Psicoanalisi – lì mascherato come sogno di un suo paziente –, in cui sottolinea l’importanza di seguire nei sogni il processo di formazione che li ha prodotti e la loro qualità di struttura di pensiero, tema caro ai più recenti sviluppi bioniani: “ Mi sono state utili, nell’attività professionale svolta successivamente, questa e altre simili ricostruzioni dei processi di formazione dei sogni? Direi di sì. Perché mi hanno aiutato a evitare- in quella che Freud una volta chiamava interpretazione e che alla fine della sua attività scientifica rettificò con il termine costruzione- un certo appiattimento, sempre possibile in questo tipo di lavoro Ma che cos’è questo appiattimento? E’ la tendenza a vedere, durante il lavoro analitico, due piani distinti: quello anteriore (del sogno manifesto, come pure dei sintomi così come appaiono), ed uno restrostante: quello della interpretazione, del significato, o come altro lo si voglia chiamare: lasciando invece nell’ombra il processo di formazione, col pericolo che tale processo risulti, o possa apparire, arbitrario. Fino a tanto che ciò accade per i sogni, il danno è forse riparabile. Ma se invece si verifica per quella sintomatologia da cui ci si propone di liberare il paziente, rischia di compromettere il proprio lavoro, perché viene a mancare ciò che Freud, nel suo scritto Ricordare, ripetere ed elaborare, indicava come il processo attraverso il quale-quando tutto va bene- è possibile agire sui meccanismi che sostengono la sintomatologia del paziente .” (Curar nevrotici con la propria autoanalisi,p.99-100).
Nessuna concessione viene fatta alla spettacolarità: la barra del timone è diretta sempre all’interesse per comprendere il funzionamento psichico, e la sofferenza connessa, a cominciare dalla propria. La ‘leggerezza’ di Musatti non era intellettuale distacco: al contrario, era capacità continua di immergersi nelle storie di sofferenza sue e dei pazienti e di riemergerne arricchito, come mostra nel capitolo ‘Una sola notte in un ‘Lager’, in cui racconta di essersi identificato inconsciamente con chi nel Lager c’era stato (“Io quella notte nel Lager ci sono stato. (…) Per una notte sola”,Curar nevrotici con la propria autoanalisi, p.133).
Nella descrizione della funzione dei sogni si ritrovano tracce della formazione filosofica di Musatti e dei suoi interessi nel campo della filosofia della scienza che, ben presente sin dalla tesi di laurea dedicata alle implicazioni epistemologiche delle geometrie non euclidee, ha poi applicato anche al campo della psicologia e della psicoanalisi. In ‘Sogno e realtà’ (Chi ha paura del lupo cattivo?) propone la psicoanalisi come scienza che ha costruito un modello dell’apparato psichico: “Freud ha collocato la psicoanalisi nelle stesse posizioni moderne delle altre scienze della natura”(p.68). Come per tutte le altre scienze, i suoi modelli valgono fino a quando altri non si rivelano più esplicativi: “Un modello, quindi: come i vari modelli delle scienze fisiche, per quelle zone di realtà che non sono direttamente osservabili, in quanto collocate o al di sotto, o al disopra, delle ristrette soglie delle nostre facoltà percettive, (…) Un modello perciò: come al suo aprire lo è stato il modello dell’atomo di Bohr” ( Psicoanalisi e simulazione, in: Chi ha paura del lupo cattivo? p.223 – 224).
Approfondendo l’analisi dell’attività onirica, Musatti si dedica allo studio del rapporto tra sogno e realtà, nella loro comune origine dall’attività psichica del soggetto. Da grande psicoanalista, ritiene che la sua funzione clinica sia quella di promuovere la capacità di simbolizzare, dando spazio al paziente, alla personalità dell’altro che incontra.
Una specificità di Musatti psicoanalista risiede nel suo essere interessato alla costruzione-decostruzione del mondo psichico che l’attività onirica esemplarmente illustra (Sogno e realtà in Chi ha paura del lupo cattivo?). Proprio il suo profondo radicamento nell’identità di psicoanalista, a partire dalla quale osserva con curiosità il mondo, rende più comprensibile come sia potuto intervenire a commentare con grande libertà eventi delle vicende sociali, politiche, artistiche senza capovolgere il punto di vista scientifico dal quale osservava e interpretava il mondo. Il suo vertice è costruttivista e relazionale, e trova la sua realizzazione esemplare nel setting analitico, in cui analista e paziente si impegnano in un dialogo di emozioni pensieri e affetti che ha la qualità rappresentativa del sognare.
Il sogno è assunto come prova dell’esistenza di una vita psichica inconscia, in continuo dialogo creativo con quella conscia e forse come sua matrice generativa necessaria, come teorizzato poi da Bion Ogden Ferro: più che svelare contenuti inconsci rimossi, andiamo nella direzione di riconoscere che la più gran parte del lavoro psichico e di un’analisi consiste nella capacità di sognare e quindi di rappresentare e integrare emozioni grezze e angosce impensabili, tramite il contatto vivo con un’altra mente, agli inizi della vita quella della madre e dopo, per superare impasse e difficoltà, quella che mette a disposizione un analista, come Cesare Musatti.
La scienza: Leggendo questi scritti, si può cogliere l’ampiezza del suo approccio psicoanalitico, che aveva implicitamente enunciato nella Prefazione al monumentale Trattato di Psicoanalisi (1949), quando dichiarava di avere la mentalità del ricercatore esatto e dello sperimentatore, ma di essere consapevole di non possedere anche altre mentalità che l’esercizio della psicoanalisi richiede, che in effetti avrebbe poi sviluppato nel corso della sua attività clinica di psicoanalista, allora solo agli inizi *.Nella sua straordinaria apertura mentale di un intellettuale ha attraversato tutti gli impensabili eventi del 900, il secolo breve di Hobsbawn: morì pochi mesi prima della caduta del muro di Berlino, sulla soglia di un altro cambiamento epocale, ma aveva già scritto articoli anche sulla nascente espansione del mondo globalizzato, in ‘L’informatica e il mondo moderno’, in I Girasoli . Nonostante la sua capacità di interessarsi alle nuove aperture della ricerca in tutti i campi scientifici, anche quelli delle discipline della psiche, negli ultimi anni la sua accettazione si arrestava di fronte alle teorie riguardanti lo sviluppo mentale del bambino in fase fetale. Ma questo nasceva da argomentazioni stringenti e accurate, riferite alla questione della percezione, una tematica da lui approfondita a partire dagli anni di Padova e della collaborazione con Kanizsa, e poi sviluppata nelle ricerche dell’Istituto Gemelli. La sua perplessità di fronte alle affermazioni per esempio di Mauro Mancia relative alla vita mentale fetale nascevano da un’impostazione scientifica e non da un pregiudizio, ed oggi possiamo dire che era legata alla insufficienza di strumenti e metodi di indagine adeguati, che in questi venti anni si sono notevolmente arricchiti, con gli strumenti ecografici, PET, e sviluppo di categorie psicoanalitiche quali controtransfert e rêverie (La formazione dell’oggetto e il problema dei sogni in fase fetale, in I Girasoli, p. 159-162).
La relazione con il paziente. Musatti appartiene alla generazione degli psicoanalisti che si riferiscono alla teorizzazione freudiana classica, che vede nella cura analitica un metodo per fare emergere dall’inconscio del paziente contenuti rimossi che ne ostacolano il libero funzionamento psichico. Ma la sua attenzione al ruolo dell’analista come strumento stesso di cura che deve fornire una disponibilità di ascolto la più ampia possibile, forse per una dote naturale, gli ha permesso di curare un’ampia gamma di pazienti, senza costringerli nel letto di Procuste di una teoria chiusa, ma cercando di comprenderli a partire da quello che sentiva, dal suo complesso controtransfert. (‘Privato e sociale nei problemi della felicità umana’ in Mia sorella gemella la psicoanalisi: “Quando ci occupiamo della felicità o infelicità degli uomini, possiamo, per nostra comodità di espositori postulare separazioni di questo genere; e parlare di sociale e di privato, e in particolare anche di questo riflusso sul privato. (…) Ma dal di dentro! Ognuno è sempre se stesso: orientato verso gli uni o gli altri problemi, ma vivendoli,-privati o collettivi che siano- come propri. E la felicità, o la sofferenza o il dolore possono venire dall’una o dall’altra parte, restando sempre felicità o infelicità individuale. Altra realtà, concreta, effettiva, non c’è, se non quella individuale, che io sento dentro di me. “ p. 177-78); Ferito all’ala in I Girasoli p. 193)
Le patologie più citate sono le fobie: nello scritto Chi ha paura del lupo cattivo? Musatti ne spiega le ragioni, introducendo approfondimenti teorici che vanno nella direzione dell’analisi delle psicosi. Osserva che alla base di ogni forma di fobia sta la paura del lupo cattivo, che è paura di sé medesimi, della libertà, che spinge ad organizzare difese fobiche o ossessive, fino alla proiezione all’esterno dell’oggetto della paura, fino al delirio, alla persecuzione del paranoico, che tuttavia ha il vantaggio di godere di un senso di grandezza: “Se tutto il mondo gli è ostile, egli acquista importanza e potenza” (p.20).
Il lupo cattivo rappresenta qualcosa di inconscio che è al centro del cuore dell’uomo e che contrasta con l’immagine che ciascuno si è fatta di se stesso: “Quello che sta lì in agguato, il lupo cattivo, e che – a meno di non farci amicizia e conoscenza (come dovrebbe accadere ad uno psicoterapeuta-)- è pronto a far scatenare l’angoscia, la quale minaccia di travolgere ciascuno, e di avvelenare a ciascuno l’esistenza.” (p.22).
Note
1. i Cesare Musatti C. (1986). Ricordo di Francesco Caracciolo. Rivista di Psicoanalisi, 3, 473-475. “Era finita da poco la guerra, quando vennero a trovarmi, separatamente, tre giovani studenti universitari, provenienti tutti e tre da Roma,(…) Ma con loro c’era Francesco Caracciolo. E con lui ho iniziato una analisi. Era gentile ed affettuoso, oltre che una persona di non comune intelligenza. Mi ci sono affezionato, così come si è affezionato lui a me, secondo quanto accade in analisi. Però l’analisi… non andava bene. Non andava bene, perché eravamo due personalità molto diverse. Io uno psicologo sì, ma proveniente da studi prima di matematica e poi di psicologia sperimentale. La mia base di formazione era scientifica. Positivista no, non sono mai stato. Anzi mi è sempre piaciuto l’esame critico dei procedimenti scientifici, e cioè quella che oggi si indica come epistemologia. Ma ho conservato una certa impronta che mi viene dalle mie origini, mentre Caracciolo era invece portato verso altri aspetti del pensiero umano. Più poeta forse. Più schiettamente umano, con sbavature verso l’ineffabile, con una tendenza verso l’incomprensibile, e l’ignoto, e il misterioso. Ciò non impediva la reciproca simpatia. Ma accadeva che nel corso dell’analisi, e mentre io cercavo di ricostruire i processi del suo inconscio – quello che egli non diceva ma doveva pur stare dietro la porta del suo pensiero – si ergesse un muro fra noi, così che non ci intendevamo più. Qualche volta egli anche si irritava. Finii col pensare che per la sua mentalità una analisi junghiana fosse più adatta. Jung lo conoscevo bene, perché durante la guerra avevo tradotto parecchie opere sue: talora divertendomi per la vivacità del suo spirito, talora annoiandomi a morte per la sua pedanteria e per la lingua, che è un tedesco svizzero, assai diverso dal modo di esprimersi di Freud. Ne discussi con Caracciolo, e gli dissi: “Jung e il suo modo di pensare sono più affini alla tua personalità. Va a Zurigo e prendi contatto coll’ambiente junghiano. Parla con Jung e raccontagli i casi tuoi. Egli forse in analisi non ti prenderà, perché è già molto anziano. Ma ti potrà affidare a qualcuno del suo gruppo”. Caracciolo fece così. Si trovò bene. E venne poi più volte a ringraziarmi per il consiglio che gli avevo dato. Tornò poi in Italia. E al movimento junghiano, già esistente, portò il contributo della sua attività. ”
2. “ Mettersi nelle mani di un altro, è il contrario dello spirito manageriale, è semplicemente la sconfitta.. Fra quei manager a cui prima ho pensato, ve ne è stato uno, forse un po’ pazzo veramente, ma assolutamente geniale, e di grande bontà. Anch’egli si rivolse a me molto tempo fa. Ma facemmo due sole sedute. Alla prima mi raccontò un sogno: aveva sognato di avere avuto un violento alterco con un prete.Per parte mia fui troppo ingenuo.Non riuscii a trattenermi dal ridere, e poi dallo spiegargli che quel prete (colui che raccoglie le confessioni) ero proprio io.(…) E il giorno dopo mi disse francamente: “Con lei non voglio litigare. E’ meglio che sospendiamo l’analisi. “(…) Restammo buoni amici ed egli mi aiutò molto in varie circostanze. Ma nei nostri rapporti, voleva essere lui che aiutava me, e non essere da me aiutato.” (p.60-61). Probabilmente si trattava di Adriano Olivetti.
3. “Ed è forse questo che stabilisce il legame tra attitudine professionale (…) e la tendenza a divenire non dirò filantropi, ma antropofilici e (non in senso materiale ovviamente ma in senso spirituale” antropofagi.” p. 97
4. “Vi è chi afferma che una analisi, didattica o terapeutica, è senz’altro necessaria per fare di un individuo uno psicoanalista. Naturalmente non bisogna esagerare in questo senso: Freud ideò la tecnica dell’analisi e ne iniziò la pratica, senza essere stato a sua volta analizzato. E in via generale si può riuscire a eliminare molte delle proprie resistenze attraverso le analisi effettuate su altri: queste danno infatti modo continuamente di effettuare anche una autoanalisi.”. Lezioni 1933-34, p.187, citato in Reichmann, p.293)
5. “Limitandoci al campo delle interpretazioni dei sogni, ci sembra che le condizioni ottime sotto tale riguardo possano essere costituite dalla scelta di gruppi di sogni, dovuti ad un solo soggetto, relativi ad un tratto di tempo non troppo esteso e che si possano considerare espressioni di un ristretto numero di desideri od elementi tendenziali rimossi. È legittimo ritenere che questa ultima condizione sia realizzata quando in un complesso di sogni di un soggetto riscontriamo parecchi sogni ricorrenti, ossia parecchi sogni che si ripetono mantenendo una identica struttura formale ed una identica tonalità emotiva, pur non essendo del tutto identici fra loro. Sogni di questo genere, che si presentano cioè come variazioni sopra uno stesso tema onirico, possono infatti plausibilmente essere considerati come espressioni di un unico elemento tendenziale rimosso. Mentre da un lato la insistenza con la quale questo elemento tende a manifestarsi, sia pure in forme travestite, nella vita onirica del soggetto, permette di supporre che si tratti di un elemento dominante nell’inconscio del soggetto, dall’altro la relativa varietà degli aspetti che l’elemento stesso assume nelle diverse manifestazioni oniriche e nei diversi sogni (che sono simili ma non identici) permette di far convergere l’analisi di quei diversi sogni nella ricerca di quell’elemento latente comune.” ”( p. 112-116).
* “Nell’avvicinarmi alla psicoanalisi non recavo perciò con me – come è per lo più il caso di coloro che di psicoanalisi scrivono – la mentalità del medico di malattie nervose che ha principalmente di mira il successo terapeutico, o la mentalità speculativa del teorizzatore che esamina la originalità dell’edificio concettuale, o quella dello studioso di problemi morali e sociali che si preoccupa delle conseguenze che sul piano dei valori possono derivare da queste dottrine, o quella del letterato che vi scorga un elemento da utilizzare per un approfondimento delle sue descrizioni della vita interiore degli uomini; ma piuttosto la mentalità del ricercatore esatto e dello sperimentatore” (p. XII). Il Trattato, afferma egli stesso, fu scritto sulla base dell’esperienza di analisi con sette pazienti e su quella di un ottavo, lui stesso.
Riferimenti bibliografici
Freud S. (1899). L’interpretazione dei sogni. O.S.F., 3.
Musatti C. L. (1933). Simbolismo onirico e sogni ricorrenti. Rivista di Psicoanalisi, 2, 111-137; 3 , p. 179-215.
Musatti C. L. (1949). Trattato di psicoanalisi. Bollati Boringhieri, Torino
Musatti C. (1979). Il pronipote di Giulio Cesare. Mondadori, Milano.
Musatti C. (1982). Mia sorella gemella la psicoanalisi. Editori Riuniti, Roma.
Musatti C. (1983). Questa notte ho fatto un sogno. Editori Riuniti, Roma.
Musatti C. (1984). I girasoli, Editori Riuniti, Roma .
Musatti C. (1984). La formazione dell’oggetto e il problema dei sogni in fase fetale, Rivista di Psicoanalisi, 538-545.
Musatti C. (1986). Ricordo di Francesco Caracciolo. Rivista di Psicoanalisi, 473-475.
Musatti C. (1987). Chi ha paura del lupo cattivo? Editori Riuniti, Roma.
Musatti C. (1987). Curar nevrotici con la propria autoanalisi. Mondatori, Milano.
Reichmann R.(1996-!999).Cesare Musatti. 3 voll. Arpa, Milano .
Musatti C. L. (2012) (a cura di A.Ferruta e M. Monguzzi). Sulla psicoanalisi. Bollati Boringhieri, Torino.
Anna Ferruta
Psicoanalista- Società Psicoanalitica Italiana
Viale Bianca Maria 5- 20122 Milano
email:a.ferruta@libero.it