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Lunedì per leggere
Lunedì per leggere

Recensione di "Marta nella corrente" di Elena Rausa dalla penna della dott.ssa Silvia Bortolotti

Non giudicare il libro dalla copertina
(o dal numero di pagine, o dall'editore, o dall'autore)

Titolo del libroMarta nella corrente
Autrice: Elena Rausa
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Neri Pozza Editore
Pagine: 271

Cosa leggiamo?

 

Tu eri una pietra profumata
una pietra su cui ciascuno
poteva posare il suo piede
per attraversare il torrente della vita.
Alda Merini 

Trovami uno che attribuisca un qualche valore al tempo, che apprezzi il valore di una giornata, che comprenda di morire giorno dopo giorno. In questo ci inganniamo, per il fatto che noi vediamo la morte davanti a noi: gran parte di essa invece è già passata; tutto il tempo che ci sta alle spalle appartiene alla morte. 
Lucio Anneo Seneca, Ad Lucilium, 1 

 

Certi libri colpiscono in profondità, lasciano un solco, depositano qualche loro traccia e risuonano in alcuni momenti della vita. Questo è uno di quelli.

È un libro che non può essere letto in posti affollati, sul tram o tra un appuntamento e l’altro. È un libro a cui è necessario dedicare il giusto tempo e il giusto spazio. Che andrebbe letto quando ci si trova soli e con la mente sufficientemente libera per assaporarne l’intensità. Perché è un racconto che, così come il trauma di cui parla, travolge e coglie impreparati.

I festeggiamenti per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 1982 impazzano quando Bruna Fantini perde la vita in un incidente d’auto, lasciando sola a casa Marta, la sua bambina. La piccola viene dapprima affidata al nonno e poi alle cure della dottoressa Emma Donati, che non è soltanto un’esperta psicologa.
Come Marta, Emma Donati è segnata, infatti, dalla volontà di sfuggire il dolore attraverso il silenzio e la negazione. Sopravvissuta ad Auschwitz, ha nascosto per anni una ferita indelebile che le è stata inferta durante gli anni di prigionia. Una ferita che, al cospetto del senso di colpa di Marta per la tragedia di cui si sente responsabile, sanguina di nuovo
(Neri Pozza).

In una struttura narrativa che alterna punti di vista e piani temporali, l’autrice ci presenta i personaggi e quello che accade loro nel qui ed ora, senza raccontare nulla della loro vita precedente, che il lettore scopre solo se trova il coraggio di proseguire. Come se certe cose non potessero essere affrontate subito, ma avessero bisogno di tempo, prima di poter essere pensate e dette, scritte e lette. L’autrice gioca con i tempi verbali mischiando passato e presente, quasi a sottolineare la fatica a vivere pienamente il presente, finché non si impara a prendere la giusta distanza dal proprio passato.

La morte, il lutto, il senso di colpa permeano il romanzo, ma vengono narrati sotto una luce diversa da quella a cui siamo abituati. Attraverso gli occhi di Marta, il lettore viene trasportato all’interno della rappresentazione della morte nei bambini. La scomparsa definitiva di qualcuno, per Marta della persona più cara al mondo, è qualcosa che la sua mente fatica ad immaginare, le riesce impossibile contenere qualcosa di così profondo e misterioso. Marta non ci crede e si barrica dietro un muro di silenzio. Non parla.

È un romanzo che parla di silenzio, il silenzio di Marta, che la protegge ma che è anche espressione del non trovare le parole. Il racconto esprime l’importanza della parola detta ad alta voce che libera, non dal dolore, ma dall’impossibilità di elaborarlo. È un romanzo che parla di perdita, di vuoto. Ma è anche un romanzo che parla di perdono, di possibilità di perdonarsi e di perdonare. E di fiducia, la fiducia che Marta ripone nella dottoressa Donati, perché aggrapparsi a qualcuno può essere l’unico modo per non essere travolti dalla corrente della vita.

Tre parole che rimangono

Dolore: è un libro che parla di trauma, e della ricerca delle parole per dirlo. È un libro che parla di dolore, un dolore indicibile, segreto, che non si riesce a pensare. Il trauma di una figlia per la morte della madre, di una donna per la morte di un’amica, di un padre per la morte di una figlia: “Le poesie sciolgono il dolore, ma lui adesso lo voleva integro e intatto, quel dolore, e forte abbastanza da ucciderlo. A cosa serviva altrimenti? Cosa te ne fai di un dolore così crudele che non ti uccide e che non si può nemmeno dire fino in fondo?”.

Rispetto: quello della dottoressa Donati nei confronti del silenzio doloroso di Marta, un silenzio che ha il sapore della mancanza di parole. “Allora mi chiedo a cosa serve che io stia lì, col mio lavoro, dato che non posso salvare nessuno che non debba essere salvato. Insomma, mi chiedo, qual è la mia responsabilità quando non c’è proprio nulla che possa fare per guarire chi ho davanti? E quando arrivo a questa domanda… Ecco, alla fine mi pare che il silenzio di chi assiste possa essere la sola cosa che resta. Sembra poco e invece è una forma di rispetto. Non saprei dirlo con altre parole: rispetto per la libertà di ciascuno, per quel confine che c’è e oltre il quale possiamo solo tentare di offrire uno sguardo di partecipazione”.

Fiducia: quella che Marta piano piano riesce a costruire nei confronti della dottoressa Donati: “Solleva lo sguardo fino a incontrare quello della dottoressa. Cerca di sembrare tranquilla. È orgogliosa di come riesce a stare zitta. Però stare zitta non basta a farla scomparire. Anzi, il fatto che non parla è diventato la fissa di tutti. Anche alla maestra importa una cosa sola, che parli. […] Anche questo dei pezzi parlanti le sa tanto di trucco, ma i trucchi della dottoressa Donati lasciano sempre un po’ di libertà. Le ha detto che non è obbligata a dire o fare niente che non le va di fare. Perciò oggi lei ha deciso di accettare, ma è solo per un po’ e perché ne ha voglia”.

Non ci resta che...

Lasciarci travolgere e toccare nel profondo dalla storia di Marta, per poi riemergere trasformati. “Così certe cose, se le incontri, le puoi guardare, riempiendoti gli occhi, le puoi accarezzare, ci puoi mettere il piede sopra per proteggerti dalla corrente del fiume, ma alla fine i pini, la sabbia, la neve, i sassi e anche le stelle restano lì. Loro restano e tu te ne vai. Magari ti sembra tutto come prima, perché non ti sei portato via niente, ma in realtà non è vero, perché ogni volta che vedi una cosa bella, che provi un’emozione o che passi un torrente, qualcosa cambia. Tu non sei proprio uguale a prima, perché c’è più mondo dentro di te”.

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