Recensione di "Il posto" di Annie Ernaux dalla penna della dott.ssa Marika Pettuzzo.
Non giudicare il libro dalla copertina
(o dal numero di pagine, o dall'editore, o dall'autore)
Titolo del libro: Il posto
Autrice: Annie Ernaux
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: L’orma
Pagine: 107
Cosa leggiamo?
“Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a far qualcosa di “appassionante”. (…) Nessuna poesia del ricordo, nessuna gongolante derisione. La scrittura piatta mi viene naturale, la stessa che utilizzavo un tempo scrivendo ai miei per dare le notizie essenziali”.
(A. Ernaux, “ll posto” pag. 21)
Prima di scrivere questo breve commento su “Il Posto” di Annie Ernaux, ho sentito la necessità di riprendere questo piccolo gioiello letterario, di rimaneggiarlo a distanza di mesi e una volta “digerito”, almeno in parte. C’era qualcosa che, ad una prima lettura, non ero riuscita a cogliere e che aveva a che fare con la sensazione di ricevere improvvisamente un colpo inferto dritto al cuore. Un finale che non ti aspetti anche se, paradossalmente, ti è stato svelato sin dalle prime battute del testo.
L’approccio con “Il Posto”, titolo che a mio parere ben esemplifica la modalità piuttosto impersonale con cui l’autrice tenta di affrontare un tema tanto doloroso come la perdita di un genitore, è stato per me ambivalente, a tratti disorientante: la distanza emotiva con cui l’Ernaux ha affrontato il lutto del padre mi ha messo profondamente a disagio, a causa di una scrittura scarna ed essenziale che quasi sembrava non rendere giustizia ad un evento di tale portata. Tuttavia, entrambe le volte mi sono ritrovata, senza preavviso, con gli occhi ingolfati di lacrime, compagne di un finale che è impossibile leggere senza l’alone del pianto. Un evitamento emotivo che ha il sapore di una difesa destinata a crollare dinnanzi al dolore che lento affiora dalle pagine e che tenta continuamente di sfidare la barriera della memoria:
“sono passati molti mesi da quando, in novembre, ho iniziato questo racconto. Ci ho messo tanto perché riportare alla luce fatti dimenticati non mi veniva così facile quanto inventarli. La memoria fa resistenza”.
Questo breve racconto rappresenta il primo frammento di una cronologia autobiografica segmentata appartenente al premio Nobel per la letteratura del 2022, Annie Ernaux. Si tratta di un genere particolare in cui l’autrice racconta episodi della propria vita mescolati con la creazione letteraria, generando un limbo che si riempie contemporaneamente di finzione e realtà, o meglio di ricordi che tentano di sfuggire all’oblio della sofferenza.
In questa creatura partorita pochi mesi dopo la morte del padre, la scrittrice scava nella propria memoria attraverso un’analisi essenziale e tagliente del rapporto con il genitore, la cui nitidezza esistenziale è destinata a perdersi con la sua morte.
“Scrivo lentamente. Sforzandomi di far emergere la trama significativa di una vita da un insieme di fatti e di scelte, ho l’impressione di perdere, strada facendo, lo specifico profilo della figura di mio padre. L’ossatura tende a prendere il posto di tutto il resto, l’idea a correre da sola. Se al contrario lascio scivolare le immagini del ricordo, lo rivedo com’era, la sua risata”.
Tra le righe de “il Posto” si scorge sin da subito il tentativo di contenere in una scrittura, il più possibile netta e scalfita, il dolore di una perdita iniziata ben prima dell’evento luttuoso, il quale non ha fatto altro che riportare alla luce un processo di separazione evolutiva ancora tutta da elaborare. L’adolescenza per Annie ha rappresentato infatti il terreno dal quale far germogliare la sua identità in netto contrasto – ma forse neanche così tanto – con le radici dalle quali proviene.
È la storia di un riscatto sociale, guidato da un motore ascensionale che attraversa le generazioni, con uno sguardo critico su chi le ha precedute: un padre che da contadino si eleva a operaio e poi al commerciante; e una figlia che aspira al mondo della cultura e della conoscenza, soverchiando i principi del lavoro e del sacrificio perseguiti dalla propria famiglia.
La relazione tra padre e figlia si permea quindi contemporaneamente di gratitudine e risentimento, di stima e vergogna, mai esplicite ma nascoste nei gesti e nei comportamenti che scalfiscono le dinamiche familiari, ben rappresentate nella narrazione. Si tratta di emozioni complesse che attraversano il libro insinuandosi nelle vicende quotidiane e facendo sentire i protagonisti costantemente “fuori posto”, gli uni nei confronti degli altri. Difficile trovare nella storia un “posto” che rappresenti, oltre alla sua natura fisica, anche una dimensione emotiva di connessione e reciprocità: il divario che si genera tra la scrittrice e la sua famiglia cresce al punto che neanche più il linguaggio rappresenta un codice condiviso, ma diventa espressione di separatezza e incomunicabilità: da una parte il francese corretto che l’autrice vorrebbe appartenesse alla sua famiglia, dall’altra il dialetto del padre che le torna indietro distorto e fonte di profondo imbarazzo:
“Tutto ciò che riguarda la lingua nel mio ricordo è fonte di rancore e di dolorose litigate, ben più del denaro”.
Tuttavia, è proprio il linguaggio e con esso la scrittura, a rappresentare il vero protagonista del libro. Esso consente infatti di accompagnare il lettore nel processo di crescita dell’autrice e di sviscerare con esso il tentativo di elaborare il suo vissuto di perdita. Un’elaborazione necessaria a riparare un legame tanto ambiguo quanto edificante per la personalità matura della scrittrice, quello con suo padre.
In sintesi, “il posto” è la storia di un affrancamento che pone le sue fondamenta sulle possibilità di studio e conoscenza offerte ad una figlia, la quale crescendo impara, suo malgrado, tutte le fragilità familiari che nascono dal desiderio di rivalsa sociale, a seguito di rigori e fatiche imposte dalla miseria. Questa lucida, a tratti anche spietata, ma salda coscienza del potere della cultura dà a questo testo una forza universale. La figlia osserva, impara dal mondo circostante ma sa anche soprattutto ri-conoscere le sue origini, ed è da qui, dalla consapevolezza del contesto di cui ha fatto parte, che prende le distanze, facendo di una vicenda personale lo scorcio di una storia universale che riguarda tutti.
Tre parole che rimangono
Riscatto: “Il posto” è la storia di un riscatto personale e sociale compiuto dall’autrice nei confronti delle proprie umili origini verso le quali si alternano sentimenti ambivalenti che le consentono di compiere il processo di separazione e individuazione necessario alla costruzione della sua identità adulta.
Vergogna: è forse l’emozione che prevale e accompagna tutto il racconto; si tratta di un vissuto che accomuna i protagonisti nel loro perenne senso di mancanza che li fa percepire costantemente fuori posto anche quando sembrano raggiungere il senso della loro esistenza.
Linguaggio: il vero protagonista del libro, scarno e tagliente, si insinua nel dolore della perdita rispecchiando da una parte le difese evitanti dell’autrice e dall’altra l’unica modalità per riparare la relazione controversa con il genitore “forse scrivo perché non avevamo più niente da dirci”.
Non ci resta che...
Immergerci in questa lettura densa e allo stesso tempo piatta e fare i conti con i nostri vissuti di perdita per scoprire l’universale che si cela dietro a questo racconto all’apparenza così impersonale.