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Lunedì per leggere
Lunedì per leggere

Recensione di "Génie la matta" di Inès Cagnati a dalla penna della dott.ssa Marlene De Fabritiis.

Non giudicare il libro dalla copertina
(o dal numero di pagine, o dall'editore, o dall'autore)

Titolo del libroGénie la matta
Autrice: Inès Cagnati
Anno di pubblicazione: 2022
Editore: Adelphi
Pagine: 184

Cosa leggiamo?

“Questa vita, come tu la vivi adesso e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora infinite volte; e niente di nuovo vi sarà in essa, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà far ritorno a te […] L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo rigirata – e tu con essa, granello di polvere!”

Friedrich Nietzsche, La gaia scienza

 

La prima volta che ho iniziato a leggere questo romanzo mi ha fatto così male che ho dovuto metterlo da parte. La storia del rapporto tra Eugénie e la figlia Marie è così intensa e straziante che a volte costringe a distogliere lo sguardo dalle pagine e prendere una pausa. Qualche mese e qualche libro dopo ho deciso di riprenderlo, perché nonostante sia tragica, la storia narrata da Cagnati ha qualcosa di magnetico, che ti attrae e ti porta con sé seguendo la vicenda di questa famiglia. Nell’intervista condotta da Laurence Paton e pubblicata in appendice al libro – che completa in modo sublime il romanzo – l’autrice afferma: “con la mia testimonianza volevo rendere meno assurde certe vite fatte solo di miseria”. Vite che, come psicologi e psicologhe, sappiamo bene essere molto più comuni di quanto si vorrebbe pensare. 

“Questo romanzo è la storia dell’amore, lancinante e assoluto, di una figlia, Marie, nata da uno stupro, per la madre, Eugénie detta Génie, che, ripudiata dalla famiglia e respinta dalla comunità dopo che ha generato una bastarda, si è murata nel silenzio e nella lontananza”. Per questo veniva chiamata da tutti “Génie la matta”, anche se non era matta, “semplicemente non parlava e non rideva”; come riflette l’autrice, etichettare il diverso come “matto” ci consente di continuare a essere noi stessi, e a considerarci “normali”. Eugénie accetta il ruolo che le viene dato, allontanandosi ai margini della società, lavorando silenziosamente e obbedientemente in campagna per quella comunità che la ripudia, crescendo come può la figlia Marie, cercando di tenerla lontana dalle sofferenze che ha dovuto vivere lei. Ma questo tentativo, disperato, fallisce; da un lato, perché finisce con il creare una distanza incolmabile tra Génie e la bambina, che cresce sola, nel silenzio della madre di cui cerca costantemente le attenzioni e l’amore. Dall’altro, perché a quella vita alla fine è impossibile sfuggire. Nonostante gli sforzi, infatti, Marie e Génie si troveranno entrambe incastrate in quella condizione di miseria, in una ripetizione continua da cui è impossibile evadere: “e poi succedevano le cose, sempre le stesse, e da quelle non ti potevi difendere, in tutte quelle sere perdute potevi solo sperare di aver la forza di sopportarle”. Il tentativo di Génie di cominciare una vita normale verrà infatti punito e vendicato violentemente dalla comunità, che la accetta solamente fintanto che lei accetta il suo ruolo di diversa. 

A questa vicenda fa da sfondo una natura che sa essere un luogo in cui rifugiarsi e grazie a cui immaginare scenari lontani e diversi, ma che si rivela anche spietata e indomabile. 

Con un linguaggio semplice e diretto, limpido come il pensiero dei bambini e duro come la terra spaccata dalla siccità, Cagnati racconta la storia di queste donne nella sua banale tragicità, dipingendo nella mente del lettore immagini vivide che rimangono impresse come solchi profondi. 

Tre parole che rimangono

Tenerezza: per la piccola Marie, che correva “con tutta la forza delle mie gambette, col cuore che faceva il matto, per riacchiapparla. A volte si fermava per un istante. Io rallentavo per riposarmi un po’, raggiante verso di lei che mi aspettava. Si rimetteva sempre in cammino prima che riuscissi a raggiungerla. Ricominciavo a correre fissando la sua schiena”. 

Tenacia: la determinazione di Eugenie, che nonostante essere stata allontanata dalla famiglia e dalla società continua giorno dopo giorno, silenziosamente, a lavorare per garantire alla figlia una vita migliore e provare a riscattarsi, dovendosi alla fine arrendere a un destino da cui sembra impossibile affrancarsi. 

Silenzio: i dialoghi tra Génie e la figlia sono pochi e brevissimi, più spesso solo immaginati da Marie che vorrebbe urlare il suo amore alla madre ma lo tiene per sé, consapevole che il suo grido non sarebbe accolto: “Mi piombava addosso la tristezza. Avevo voglia di andarle vicino e dirle che le volevo bene. Ma lei avrebbe detto <<Và via di qua>>. Mi accontentavo di guardarla”.

Non ci resta che...

Lasciarci trasportare dal ritmo delle stagioni in questa storia che non lascia scampo a nessuno.

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