In questo articolo il professor Edgardo Caverzasi spiega che cosa sia il Trattamento Basato sulla Mentalizzazione (MBT) ideato da Peter Fonagy e Anthony Bateman e rivolto principalmente alle persone con Disturbo di Personalità Borderline (BPD).
Questo articolo ha il fine anche di preparare i molti interessati al convegno “Mentalizing and Personality Disorders: Contemporary Theory and Practice” che si svolgerà a Pavia il 10 settembre 2015 con Peter Fonagy e Anthony Bateman. Ricordiamo a chi fosse interessato che il 10 maggio avranno termine le iscrizioni a prezzo ridotto.
Buona lettura dal CSCP
Il Disturbo Borderline di Personalità (BPD) è un disturbo mentale grave e complesso, molto frequente nella popolazione generale, caratterizzato da relazioni interpersonali instabili ed intense, agiti autolesivi, suicidarietà, labilità affettiva e sentimenti cronici di vuoto. Di fronte ad una notevole complessità dal punto di vista fenomenologico e psicodinamico (basti pensare che secondo il DSM-IV-TR esistono nove criteri per il BPD e devono esserne soddisfatti solo cinque per effettuare la diagnosi, rendendo possibili ben 256 combinazioni diverse) appare quindi fondamentale individuare un elemento essenziale comune che possa fornire la chiave per la comprensione del BPD nella sua patogenesi, e divenire quindi il focus del trattamento terapeutico.
Anthony Bateman e Peter Fonagy affermano che tale elemento può essere individuato nella mentalizzazione, cioè la capacità immaginativa, rappresentazionale e preconscia di concepire se stessi e gli altri come dotati di stati mentali, quali credenze, desideri, sentimenti o pensieri, in grado di influenzare il comportamento: da questo assunto si sviluppa il modello di trattamento da loro proposto per il BPD, il Trattamento Basato sulla Mentalizzazione (Mentalization Based Treatment, MBT), un trattamento ad orientamento psicodinamico che trova le sue basi teoriche nella teoria dell’attaccamento, originariamente sviluppata da John Bowlby. Riconoscere un fallimento della mentalizzazione e incrementare i processi riflessivi nel paziente divengono quindi nuclei centrali del trattamento terapeutico, al fine di stimolare un progressivo recupero di tale capacità.
Nel caso del BPD, un’inibizione della mentalizzazione, a seguito di una combinazione di avvenimenti traumatici pregressi, può essere messa in atto difensivamente dal soggetto per evitare di pensare agli stati mentali dell’altro, poiché questa esperienza lo ha condotto a sperimentare un dolore insopportabile nella relazione stessa. Un fallimento della mentalizzazione rende possibile la comprensione di diversi sintomi del paziente con BPD: in quest’ottica, il senso di Sé disperatamente fragile di questi soggetti può essere letto come una conseguenza dell’incapacità di rappresentarsi i propri sentimenti, credenze e desideri con una chiarezza sufficiente a fornire un intimo senso di se stessi come entità mentali; allo stesso modo, il bisogno del paziente con BPD di sperimentare la presenza continua e concreta dell’oggetto e il suo angoscioso terrore di un abbandono appaiono legati alla sua incapacità di avere in mente una rappresentazione dell’altro come pensante, presente e affidabile. Un focus sulla capacità di mentalizzare di fronte alle difficoltà create da una relazione terapeutica può quindi offrire una valida chiave d’accesso per il trattamento del BPD, chiave che va ricercata innanzitutto nell’intima interfaccia tra processi di attaccamento: riconoscere un fallimento della mentalizzazione e incrementare i processi riflessivi nel paziente divengono quindi nuclei centrali del trattamento terapeutico, al fine di stimolare un progressivo recupero di tale capacità.
L’efficacia del Trattamento Basato sulla Mentalizzazione è stata dimostrata da Bateman e Fonagy comparandolo con il trattamento abituale per il BPD, 8 anni dopo l’inserimento in uno studio randomizzato controllato e 5 anni dopo che il percorso MBT era stato completato. Dai risultati riportati dagli Autori emerge che il gruppo trattato con MBT mostra un andamento nettamente migliore rispetto al gruppo di controllo, sia durante il periodo di trattamento che nei 5 anni successivi allo stesso. In particolare, i pazienti trattati secondo il modello MBT presentavano un netto miglioramento nei deficit che si dimostravano più resistenti al trattamento nel lungo termine in studi precedenti: è importante ricordare, infatti, che diversi modelli ben strutturati di trattamento per il BPD hanno dimostrato di essere in grado di ridurre tentativi di suicidio, agiti autolesivi, comportamenti impulsivi ed utilizzo dei servizi, mentre sono molto più limitate le evidenze di miglioramento dei deficit del funzionamento interpersonale, sociale e lavorativo.
A Pavia a lungo è stato attivo un Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Disturbi di Personalità, con particolare attenzione al Disturbo Borderline, e tuttora opera un’Unità Operativa ad essi dedicata, diretta dal prof. Caverzasi, riconosciuto practitioner MBT dal registro ufficiale dell’anna Freud Centre. In questo contesto, la Scuola di Specialità in Psichiatria da diversi anni promuove un percorso formativo centrato specialmente sull’apprendimento e l’applicazione di tale modello. In quest’ottica di collaborazione è stato organizzato per quest’anno a Pavia, in data 10/09/2015, il convegno ” Mentalizing and Personality Disorders: Contemporary Theory and Practice” Anthony Bateman e Peter Fonagy illustreranno le ultime elaborazioni teoriche e presenteranno il modello MBT con colloqui simulati (role playing). E’ la prima volta che i colleghi dell’Anna Freud Center propongono in Italia una giornata di lavoro sul modello del training inglese MBT. Contemporaneamente verranno presentata l’organizzazione e alcuni dati della attività del nostro laboratorio.