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ARTICOLO – Tronick & Beeghly: Infants’ Meaning-Making and the Development of Mental Health Problems

Il 28 e 29 novembre 2014 presso l’Università degli di Milano-Bicocca si è svolto il congresso internazionale tenuto dal professor Ed Tronick. Le due giornate sono state interessanti e focalizzate sui temi dello sviluppo mentale e affettivo dei bambini sia nelle condizioni di normalità sia in quelle di rischio.
In questo post vi proponiamo la traduzione di un articolo di Tronick e Beeghly in cui viene discusso il significato e il processo di meaning-making, ovvero la costruzione di significato che veicola il nostro “vivere nel mondo”. L’articolo è stato pubblicato nel 2011 su American Psychologist vol 66, no 2.
Il meaning-making è stato uno dei temi principali del convegno e con questo articolo speriamo di aiutare chi abbia voglia di saperne di più e/o di approfondire i temi già sentiti al convegno.
Traduzione italiana a cura di: Ilaria Merici, Milko Prati, Stefania Pozzi, Stefano Galli, Pietro James Pastonesi e Valentino Ferro.
Buona lettura.

Infants’Meaning-Making and the Development of Mental Health Problems

EDTronick & MarjorieBeeghly

tronick 2
Spiegheremo che il processo di creazione di significato è un meccanismo centrale che determina sia lo sviluppo normale sia quello patologico. I bambini, intesi come sistemi dinamici aperti, devono costantemente acquisire infrmazioni per aumentare la loro complessità e coerenza.  I bambini rispondono alle loro domande creando dei significati “non verbali” – affetti, movimenti, rappresentazioni- di loro in relazione al mondo e di loro in “uno stato di conoscenza bio-psico-sociale”, che forma continuamente la loro relazione con il mondo. Il lavoro si focalizza sul funzionamento del sistema di comunicazione bambino-adulto, dinamico, mutualmente regolato che sostiene il relazionarsi del bambino con le altre persone (mondo sociale), con le cose, con se stesso e consecutivamente sostiene il processo di creazione di significato. I significati che il bambino crea aumentano la complessità e la coerenza e questo è adattivo nel breve periodo; noi sosteniamo che i problemi mentali nell’infanzia emergono quando il momento che dovrebbe creare i significati del bambino limita selettivamente le relazioni successive con il mondo e a sua volta limita anche la crescita degli stati di coscienza nel lungo periodo. Quando questo meccanismo diventa continuo e cronico può alterare i significati e interferire con uno sviluppo sano e accrescere nel bambino la vulnerabilità ad esiti patologici. Saranno discusse anche le differenze culturali nella creazione di significati e le loro implicazioni per la pratica clinica.
Come sviluppano problemi mentali i bambini? I teorici classici come James (1890), Freud (1923) e Watson (1928) avrebbero riso a questa domanda. I bambini ai tempi di James vivevano in un mondo caratterizzato da una “grande confusione ronzante” (James, 1890, p. 488), e i bambini di Freud erano ugualmente in uno stato di continua tensione in cerca di scarica o di quiescenza. Nessuno di questi loro bambini poteva (secondo loro) creare significati del mondo che li circondava. A questi bambini mancavano le emozioni, comportamenti organizzati, o un modo di “stare” nel mondo o con gli altri e non avevano modo di poter regolare le loro reazioni o attivazioni affettive verso un’altra persona. Watson andò così lontano dalle nostre nuove teorie che teorizzò che la vita mentale del bambino era una finzione creata dall’immaginazione dell’adulto e finche non si diventava adulti si era senza mente. In questo momento storico i bambini non avevano problemi mentali perché non avevano una vita mentale. Ma questi teorici classici avevano clamorosamente torto: sbaglirono clamorosamente anche solo a pensare una cosa del genere.
Noi ora sappiamo che i bambini e i ragazzi giovani hanno una stupefacente varietà di competenze bio-psico-sociali. I bambini piccolo hanno anche rudimentali intenzioni, motivazioni emotive e organizzazioni e sono capaci di reagire alle intenzioni, significati ed emozioni degli altri (Brazelton, 1992; Lavelli & Fogel, 2005; Reddy, 2008; Trevarthen et al., 2006; Tronick, 2007). Con queste competenze bio-psico-sociali, i bambini creano significati sulle loro relazioni con il mondo sociale, sulle cose con cui interagiscono e su se stessi. Ovviamente il loro creare significati non è simbolico ed è radicalmente differente dal sistema rappresentazionale che si può creare un bambino più grande e un adulto, ma ciò nonostante è un creare significati.
Sfortunatamente, in un modo unico per i bambini, la loro creazione di significato potrebbe andare male/essere sbagliata e portare ad aberranti percorsi evolutivi. Alcuni bambini possono creare significati/rappresentazioni di se stessi come impotenti e senza speranza, e possono diventare ritirati, apatici e depressi. Altri sembrano trattenersi dall’interagire con il mondo circostante e possono diventare ipervigilanti e ansiosi o iperattivi e perseveranti (?). Altri ancora sviluppano pattern comportamentali di autoregolazione rigidi e disregolati, o hanno difficoltà a dare un senso a se stessi e agli altri (es. quelli con disturbi dello spettro autistico; Fonagy, 1999; Hobson, 2002). Quando queste forme di creazione di significato disregolati e rigidi persistono, queste possono distorcere alcune tappe infantili, come lo sviluppo dell’autoregolazione, la formazione dell’attaccamento con il caregiver  o lo sviluppo dell’autonomia.  In definitiva, lo sviluppo di significati distorti amplifica e accresce la vulnerabilità agli sviluppi psicopatologici (Beeghly & Tronick, 1994; Cicchetti & Barnett, 1991; Hill-Soderlund & Braungart-Rieker, 2008; Sroufe, 2009).
In questo articolo per prima cosa presenteremo una prospettiva aperta del sistema di creazione di significato del bambino nel contesto del sistema comunicativo bambino- adulto usando esempi derivanti dalla ricerca sullo sviluppo sociale del bambino. La creazione di significato è un fondamentale processo dello sviluppo e, nella nostra prospettiva, partire dall’analisi dello sviluppo tipico/normale (includendo un focus sulle differenze individuali e sulle variazioni culturali della creazione di significato) che è necessaria per una chiara comprensione di come lo sviluppo può “deragliare” e generare i problemi mentali infantili. Con la struttura dello sviluppo tipico chiarita si può elaborare come il cronico e continuo creare significati che il bambino e l’adulto co-creano può portare a sviluppi maladattivi/negativi del bambino, per esempio vedendo quello che succede nei casi di depressione materna. Quindi secondo noi sia lo sviluppo tipico o alterato può essere compreso da una prospettiva di sistemi aperti di creazione di significati. Le implicazioni cliniche derivanti da questa prospettiva saranno discusse.
Sistemi dinamici aperti di creazione di significati
La nostra tesi sostiene che la visione del bambino e delle sue relazioni con il mondo si comprende meglio dalla prospettiva dei sistemi dinamici aperti. I bambini sono costituiti come sistemi dinamici fatti a loro volta da sotto-sistemi (es. cervello, processi psichici e comportamento) che continuamente interagiscono fra di loro e con il mondo esterno in un circolo virtuoso (Fogel, 2006; Greenspan, 2008; Prigogine & Stengers, 1984; Seligman, 2005; Smith & Thelen, 2003). Inoltre, l’interazione continua del bambino con il mondo esterno ed interno contribuisce alla creazione delle rappresentazioni (significati) delle loro esperienze, e a loro volta i significati sono formati da questi scambi (Tronick et al., 1998). Questi processi di auto-organizzazione, tramite feedback positivi e negativi, portano anche all’emergere di nuovi proprietà dei sistemi, incluso lo sviluppo di capacità, come il camminare o il linguaggio, che a loro volta creano altri nuovi significati.
In accordo con Prigogine (Prigogine & Stengers, 1984) ampi e generali principi governano le azioni dei sistemi dinamici, per acquisire risorse, energia e informazioni, necessarie a mantenere la complessità e la coerenza della loro organizzazione. Nello sviluppo dei sistemi, come quelli dei bambini, devono essere ottenute sufficienti risorse che possano permettere a questi di di aumentare la loro coerenza e complessità e le nuove capacità auto-regolatorie. Per esempio durante la continua relazione con i caregivers, i bambini creano significati di questa esperienza (es, MOI; Bretherton & Munholland, 1999), che contribuiscono alla grande complessità e coerenza dei loro sistemi. Molti bambini hanno genitori affidabili e responsivi e sviluppano modelli operativi interni sicuri delle loro relazioni con loro (De Walff & van IJzendoorn, 1997). Questa base sicura migliora la probabilità che il bambino acquisirà più risorse dai suoi scambi con i suoi caregiver in poco tempo, contribuendo a lungo termine allo sviluppo della resilienza. In contrasto a ciò i bambini con un genitore duro e non responsivo, potrebbero imparare a minimizzare la loro relazione con il caregiver per mantenere comunque una vicinanza con esso (Cicchetti & Barnett, 1991). Però questo stile comportamentale evitante è adattivo nel breve termine, ma potrebbe nel lungo termine promuovere degli sviluppi maladattivi, come la tendenza a creare forme relazionali di attaccamento insicuro con gli altri successivamente nella vita (Fraley & Shaver, 2000). La metafora può aiutarci nel vedere la dinamica di questo processo. Le gocce di pioggia (intendendole momento dopo momento) scolpiscono il territorio (formando uno stato di conoscenza). I percorsi scolpiti (significati cronici) vincolano dove la piaggia può scorrere, e allo stesso tempo i percorsi continuano ad essere formati dalla pioggia (nuovi significati; Granic & Patterson, 2006).
Come quando si acquisiscono nutrimenti necessari per la crescita del bambino, noi ipotizziamo che l’acquisizione di informazioni, o l’ingaggiarsi con ciò che Bruner (1990) chiama acts of meaning [atti di creazione di significato] (es. i livelli multistrato del sentire, del percepire, del pensare, del raggiungere, dell’annusare e del guardare) supporta lo sviluppo mentale infantile. Ingaggiarsi in atti di creazione di significato è con le giuste proporzioni di fase di sviluppo, lo stesso nel bambino e nell’adulto. Quando il bambino sta creando nuovi significati con successo, ciò a cui Kaufman (1995) si riferisce con il termine di raggiungimento di un’auto-organizzazione critica, emerge un nuovo stato bio-psico-sociale di conoscenza, che contiene più informazioni ed è più complesso e coerente di quanto non fosse prima. Conseguentemente il sistema bambino diventa più flessibile e in grado in modo migliore di riorganizzarsi quando ci sono dei cambiamenti dati da “perturbazioni”. Sebbene i bambini cerchino sempre di creare significati coerenti, le variazioni nell’ambiente in combinazione con le caratteristiche interne uniche possono creare difficoltà nella creazione dei significati dei bambini. Anche con una breve o minore perturbazione del caregiving o dell’ambiente, il bambino può entrare in uno stato di disequilibrio che potrebbe disorganizzare e la disorganizzazione in se stessa può ulteriormente diminuire la sua abilità nella creazione di significato in quel momento. Nella terminologia del sistema, un bambino del genere perde complessità e informazioni. Se la perturbazione è prolungata e cronica (es. immaginate un bambino che cerca di creare significati sul suo caregiver che ha un umore che rapidamente cambia da positivo a negativo) il sistema del bambino diventa meno stabile e flessibile (dissipandosi) e può essere maggiormente vulnerabile agli effetti di perturbazioni successive.
Un esempio del concetto di “dissipazione” può venire dalla termodinamica. Per rimanere in ebollizione l’acqua deve avere un input costante di energia calda. Quando il calore si riduce, l’acqua cambia il suo stato e torna a quello liquido, ovvero si dissipa lo stato di calore. In questo modo, i genitori che mitigano il pianto del bambino, che non riesce a auto-consolarsi, promuovono uno stato di conoscenza più complesso e più coerente nel bambino. Al contrario, la riduzione del mitigare il pianto può portare a uno stato di prolungato stress e può dissipare la coerenza della mente del bambino. Se l’esperienza di disregolazione è riparata brevemente e velocemente, questo potrebbe promuovere la crescita perché il bambino può crearsi un significato/rappresentazione non simbolico/a che i genitori e loro insieme sono capaci di riparare ad un’interruzione dell’interazione.  Un “significato” differente può nascere da prolungate esperienze di perturbazione della relazione bambino-genitore. Un esempio estremo può venire dai bambini istituzionalizzati, che hanno avuto l’esperienza di una deprivazione sociale. Nonostante cure adeguate, l’assenza cronica di un genitore consistente e che promuove interazioni adeguate, una mancanza di opportunità di creare significati diadici, può portare a a un prolungato stato di disregolazione associato a una rappresentazione di se stessi negativa del tipo “le mie azioni non funzionano per chiedere aiuto” o “Io sono indifeso”. A sua volta le esperienze di deprivazione  possono portare ad un’alterazione dello sviluppo mentale, compromettendo il funzionamento socioemotivo, uno stentato funzionamento mentale e in alcuni casi la morte (Nelson, Zeanah & Fox, 2007).
Per evitare la rottura dell’organizzazione il sistema seleziona risorse (es. le informazioni presenti in quel momento) per massimizzare la coerenza e la complessità (Fogel, 2006; Smith & Thelen, 2003). Queste risorse possono essere raccolte da sole dal sistema operativo (es. auto-regolazione per calmarsi) o ingaggiarsi con un altro sistema per crearne uno più grande (es. cercare di farsi calmare da un altro caregiver). Unendosi a un altro si potrebbe avere un effetto speciale nell’acquisizione di risorse, perché un sistema più grande potrebbe avere più risorse (Tonick, 2005). I bambini istituzionalizzati, che non hanno persone che possono relazionarsi con loro, sono forzati ad auto-regolarsi, creando da soli i loro significati. Benché siano capaci di creare dei significati da soli, la loro capacità però di auot-organizzazione sarà limitata; non possono sostenere questo meccanismo per lungo periodo. Senza l’apporto di risorse esterne la loro capacità di auto-organizzare le risorse attentive ed affettive diminuisce e hanno dei problemi nella creazione di significati, con il risultato di una diminuzione della coerenza dei loro stati bio-psico-sociali di conoscenza (Bernier et al., 2010; Tronick, 2005). Dunque la capacità dei bambini istituzionalizzati di creare significati con gli altri può essere compromessa, anche quando gli altri si approcciano con loro in fasi successive della vita (es. adozione; Nelson et al., 2007).
Una criticità e potenzialmente una caratteristica insidiosa del creare significati è che massimizzare la propria organizzazione in quel momento non è sempre adattivo a lungo termine (es. è uno modo che non prende in considerazione le conseguenze successive).immaginate la curvatura di tre rami per catturare la luce del sole, questo aumenta le risorse dell’albero ma allo stesso lo rende vulnerabile all’effetto del vento durante le tempeste. In modo simile i bambini con dei caregiver  troppo supportivi, potrebbero imparare a non auto-organizzarsi effettivamente e diventare molto vulnerabili allo stress quando sono lasciati brevemente senza il supporto del genitore (Beebe et al., 2010; Bernier et al., 2010). I bambini che evitano un genitore troppo intrusivo possono trarre sollievo nel breve termine, ma questo evitamento nel lungo termine può portare a perdere un buono sviluppo dell’instaurare delle relazioni sociali, con conseguenze potenzialmente dannose sullo sviluppo (Beeghly & Cicchetti, 1994; Sroufe, 2009; Tamis-LeMonda, Bornstein; Baumwell & Damast, 1996).
Un esempio delle dinamiche di meaning-making
Al fine di illustrare le dinamiche di meaning-making, lasciateci descrivere un’interazione tra una madre e il suo bambino di sei mesi attraverso uno sguardo micro-analitico.
La madre si china in avanti per solleticare il naso del bambino con una ciocca dei propri capelli. Il bambino si aggrappa saldamente ai capelli, trattenendola nel momento in cui lei cerca di sollevarsi. La madre si lascia spontaneamente scappare un grido di dolore (“Ow!”) e si ritrae mostrando i denti in un’espressione facciale di irritazione. Sebbene la manifestazione vocale e facciale di rabbia della madre duri meno di mezzo secondo, il bambino immediatamente risponde con una modalità difensiva. Egli solleva le braccia davanti al volto e distoglie lo sguardo. La sua reazione ricorda i comportamenti difensivi che i bambini presentano nel ritrarsi dagli oggetti incombenti (Schmuckler & Li, 1998). L’espressione di rabbia della madre non è semplicemente una manifestazione rilevante o insolita, oppure un’espressione senza significato; al contrario, essa assume un valore per il bambino. Egli sembra cogliere un pericolo. La madre immediatamente recepisce il senso del cambiamento comportamentale messo in atto dal suo bambino e velocemente modifica la propria reazione. Cerca quindi di riparare la rottura dell’interazione mediante azioni e vocalizzi rassicuranti e persuasivi. All’inizio il bambino continua a coprirsi il volto con le mani; quindi con reticenza sbircia la madre. Gradualmente, durante i successivi 30-40 secondi inizia a sorridere, dopodiché sorride e guarda alla madre, finché entrambi tornano ad uno stato di mutuo e positivo coinvolgimento.
Per tutta la durata di questo breve scambio interattivo, i significati sono continuamente generati da entrambi, madre e bambino, a partire dall’iniziale minaccia rappresentata dall’espressione di rabbia della madre. In particolare, la sensazione di minaccia permane nel bambino anche dopo che l’espressione facciale materna ha riacquistato una tonalità positiva. Questa diade è stata capace di riparare velocemente la rottura e ri-coordinare l’intenzione di entrambi di giocare insieme. Tuttavia, è possibile immaginare come in un’altra diade questo processo di riparazione possa non funzionare, e come il senso di minaccia esperito dal bambino possa rimanere inalterato. Il fallimento nella riparazione porterebbe, ripetutamente, ad ulteriori perturbazioni, le quali genererebbero nuovi significati per entrambi i membri della diade (i.e., che la loro interazione e forse perfino il senso di minaccia non possano andare incontro a riparazione). Se questi fallimenti dovessero divenire cronici, il bambino potrebbe arrivare a diffidare del mondo esterno, precipitando verso traiettorie di sviluppo disadattive (Erikson, 1950; Sroufe, 2009).
Il processo di meaning-making non-simbolico nei bambini
Lo sforzo sostenuto dai bambini per costruirsi un senso di sé nel mondo è qualcosa di prodigioso e difficile, eppure è necessario che venga portato avanti; viceversa si precluderebbe il buon funzionamento o addirittura la sopravvivenza. Edelman (1987) ha sostenuto che la necessità fondamentale del bambino è quella di etichettare un mondo altrimenti indifferenziato così da poter agire su di esso, ciò nonostante egli non venga al mondo dotato di un sistema di significazione esplicito, come un linguaggio o dei simboli.
Dunque come fanno i bambini a costruire significati? Il processo di meaning-making dei bambini deve essere inteso come qualitativamente diverso da quello di bambini più grandi e adulti. Piaget (1954) ha rivoluzionato il nostro modo di pensare al processo infantile di costruzione di significati dimostrando come i bambini piccoli, più che categorizzare gli oggetti come fanno i bambini più grandi, conferiscano significato all’oggetto a partire da ciò che può essere fatto con esso.  Non esistono cucchiai o giocattoli, ma cose che sono “sbattibili”, “ciucciabili” o “fiondabili”. Il significato è sensomotorio, forse più affine a ciò che è inteso negli adulti come memoria muscolare o procedurale. Stechler e Latz (1966) hanno suggerito che tali significati nei bambini abbiano anche una qualità sensorio-affettiva. Un grosso giocattolo rumoroso o un adulto estraneo non sono per i bambini né giocattoli né adulti ma piuttosto qualcosa da evitare; il loro significato è il loro essere oggetti spaventosi. Sebbene sia arduo, in quanto adulti, pensare a questi processi sensomotori e sensorio-affettivi come a forme di significato, noi stessi ne facciamo esperienza. Basti immaginare quanto possa sentirsi spaventato e quanta voglia abbia di fuggire un adulto solo in una città sconosciuta, oscura e piena di ombre. Tale esperienza sensorio-affettiva esiste fianco a fianco con altri significati più espliciti convogliati attraverso parole, come ad esempio le rassicurazioni da parte di amici riguardo al fatto che non vi sia nulla di tanto spaventoso nella suddetta città. Più in generale, il processo di meaning-making dei bambini può essere visto come un processo dinamico di natura bio-psico-sociale che coinvolge l’interazione di sistemi multipli a molteplici livelli di organizzazione, i quali agiscono causalmente in modo circolare l’uno sull’altro (Gottlieb & Halpern, 2008; Sameroff, 2000). Esiste una vasta e complessa matrice di processi di significazione di natura bio-psico-sociale. Questi includono gli atti motori, le emozioni, i livelli e le soglie di reazione, l’umore, i neuroni specchio, il processamento corticale, e altri processi come l’attenuazione, ad opera dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, dell’attività dei gruppi neurali e la maggiore eccitabilità di questi ultimi a causa degli effetti del trauma (Haglund, Nestadt, Cooper, Southwick, & Charney, 2007; Hofer, 2006). Tutti questi processi influenzano il modo in cui i bambini conferiscono significato a sé stessi e al mondo. Non vi sarebbero inoltre significati discreti ma un flusso ininterrotto e stratificato di significato. Tutti questi significati vanno a comporre quello che è stato chiamato uno “stato nucleare di coscienza bio-psico-sociale” (Damasio, 2000), un’unica organizzazione di molteplici processi psicologici, neurali e comportamentali in interazione, in grado di generare un senso polisemico (di significati multipli) di ciò che sta accadendo nel momento presente e di alterare la natura dei successivi significati possibili. Nell’esempio della tirata di capelli, il significato che il bambino conferisce all’espressione di irritazione della madre vira dalla percezione di pericolo (arousal del sistema simpatico, disregolazione del versante parasimpatico e attivazione dell’amigdala) verso un parziale recupero di un positivo coinvolgimento in cui tuttavia persiste la sensazione che qualcosa ancora non vada (maggiore arousal simpatico, attivazione dell’amigdala ancora in corso). Anche gli adulti sperimenterebbero un simile flusso di significati, ad esempio durante un incidente stradale. L’adulto probabilmente esperirebbe in prima istanza una risposta istintiva di evitamento e un senso iniziale di quiete, tale da consentirgli di considerare gli altri passeggeri, quindi spavento, accelerazione del battito cardiaco e un fiotto di adrenalina, e ancora, successivamente, sollievo oppure persistenza dell’attivazione.
Dinamiche fredde e vita mentale calda
L’esempio della rabbia e la semplice osservazione di come i neonati si coinvolgono attivamente nel mondo fa nascere la domanda sulla prospettiva dei sistemi dinamici. La teoria dei sistemi dinamici è una teoria “fredda” che usa la metrica delle equazioni non lineari per misurare l’espansione e la dissipazione della complessità e della coerenza in ogni tipo di sistema. Ma la vita mentale dei neonati è “calda”. Ipotizziamo che riuscire a espandere l’informazione come un sistema o fallire in questo e dissiparla ha conseguenze sia esperienziali che comportamentali per i neonati, che ha implicazioni per lo sviluppo della resilienza e dei problemi di salute mentale.
Il successo dei neonati nel costruire nuovi significati e nell’espandere gli stati di coscienza porta con sé sentimenti di benessere, piacere e gioia e porta a un positivo coinvolgimento nel mondo. Un senso di pienezza e continuità si sviluppa. Una conseguenza di tipo esperienziale particolarmente potente della cocreazione di stati di significati condivisi con un’altra persona – uno stato diadico di coscienza – è di sentirsi connessi e in relazione con quella persona (Kochanska, 2002; Tronick et al., 1998). Questi sono sentimenti di attaccamento, o ciò che Fosha (2000) ha chiamato affetti relazionali (es. sentirsi “in sintonia” con l’altro). Quindi, la formazione di uno stato di coscienza diadico è il principale processo costitutivo per la creazione e la crescita delle relazioni. Come nell’espressione “i neuroni che si attivano insieme si legano insieme”, gli individui che creano qualcosa di nuovo insieme si connettono gli uni agli altri. Al contrario, quando i neonati hanno difficoltà a ottenere un significato nel contesto delle relazioni con gli altri, la complessità del loro stato di coscienza biopsicosociale è ridotta. Questi neonati manifestano reazioni affettive e comportamentali che sono coerenti con la tristezza e/o la rabbia, il ritiro e il disinvestimento. Inoltre, probabilmente provano ansia e paura perché perdono organizzazione, disregolano e viene minacciato il loro senso di sé. Perciò, i neonati cercheranno sentimenti di espansione e connessione ed eviteranno sentimenti di ansia e paura associati alla dissipazione (Ham & Tronick, 2009; Hofer, 2006; Kaufman, 1995; Sander, 2004).
Portando avanti questa ipotesi nell’integrare i principi freddi con le esperienze calde, siamo consapevoli che ci stiamo muovendo verso spazi fenomenologici inesplorati e che qualche lettore potrebbe obiettare. Sappiamo che stiamo personificando (incarnando) ciò che i bambini fanno e sperimentano e integrando le loro azioni con il significato e le intenzioni – ciò a cui Freeman (2000) si riferiva con attualizzazioni del significato. Dato che i neonati non parlano e il loro stato di coscienza non è come il nostro, non possiamo essere certi della loro esperienza o dei loro esatti significati e intenzioni. Inoltre, dobbiamo usare le parole per catturare un fenomeno che non è basato sul linguaggio. Non possiamo chiedere ai neonati cosa intendono ma possiamo solo dedurre il significato dal loro comportamento. Ma il loro comportamento porta a inferenze impellenti. Nonostante questo alcuni lettori potrebbero obiettare. Comunque, noi crediamo che una tale prospettiva psicologica dimostri i sistemi dinamici, testimoni la centralità del significato per lo sviluppo umano e quantomeno è utile dal punto di vista clinico.
Per esempio, molti studi empirici basati sul comportamento hanno dimostrato che anche i neonati più giovani mostrano un’ampia gamma di significati sugli oggetti e sul mondo sociale, suggerendo che sono capaci di forme di rappresentazione mentale almeno rudimentali e hanno aspettative sul loro mondo (Berk, 2010). La consapevolezza dei neonati della permanenza dell’oggetto è stata dimostrata durante i primi mesi di vita usando i metodi di violazione dell’aspettativa e di traccia dell’oggetto (vedi Baillargeon, 2004). I giovani neonati mostrano anche capacità di categorizzazione emergente, problem solving analogico e imitazione differita (es. Barr, Marrott & Rovee-Collier, 2003; Spelke & Kinzler, 2007). Allo stesso modo, dalla ricerca sulle interazioni precoci genitore-neonato, i neonati dai 3 ai 4 mesi mostrano una particolare sensibilità alla struttura e al tempo nelle interazioni faccia-a-faccia. Quando fissano con lo sguardo, sorridono o vocalizzano, sembra che si aspettino che il loro partner risponda allo stesso modo (Markova & Legerstee, 2006). Cominciano anche a vedere gli altri come se fossero “come me”, un pensiero consapevole che fa da fondamento al comprendere i pensieri e i sentimenti degli altri (Gergely & Watson, 1996; Meltzoff, 2007).
Nell’esempio del tirare i capelli, il bambino che si allontana con le mani alzate segue l’espressione di rabbia della madre molto vicino nel tempo, portando a dedurre che il significato dato dal bambino sia qualcosa simile a “pericolo”. Questo esempio è in linea con i risultati della ricerca che mostrano che i neonati hanno comportamenti organizzati collegati in modi prevedibili a eventi stimolanti, incluse le espressioni emotive del viso, la voce, lo sguardo e la psicofisiologia (Cohn & Tronick, 1989; Field, 1995; Mesman, van IJzendoorn & Bakermans-Kranenburg, 2009). La prossima domanda da porsi è la seguente: come funziona questo sistema dinamicamente organizzato di costruzione del significato?
Il modello della mutua regolazione: la costruzione diadica di significato e la riparazione
Dal nostro punto di vista, il sistema di costruzione del significato neonato-adulto è un sistema comunicativo diadico mutualmente regolato in cui c’è uno scambio di significato, intenzioni e scopi relazionali in ciascun individuo – ciò che chiamiamo modello della mutua regolazione (Beeghly & Tronick, 1994; Tronick, 1989; vedi anche Beebe e al., 2010; Fogel, 2006). Nei primi lavori, i ricercatori erano così impressionati dalle scoperte della sistematicità nelle interazioni neonato-mamma che adottarono un modello alla Fred&Ginger di sincronia diadica come quello che rappresentava il funzionamento ottimale (Brazelton, Koslowski & Main, 1974; Stern, 1985; Trevarthen, 1993). Hanno anche messo in discussione che l’interazione neonato-madre fosse caratterizzata da bassi livelli di rabbia, tristezza o angoscia, lunghi periodi di sguardo reciproco e vocalizzazioni e un’alta percentuale di affetti positivi condivisi espressi da ampi sorrisi. Poichè questo modello di sincronia è amorevole e romantico, la successiva ricerca microanalitica sull’interazione faccia-a-faccia neonato-genitore ha fornito poco supporto a questo punto di vista (Beebe e al., 2008; Tronick, 1989; Tronick & Cohen, 1989). Diversamente dalla danza di Fred e Ginger, la danza interattiva tra neonati e caregivers assomiglia di più al modo in la maggior parte di noi danza. La nostra danza è tutt’altro che perfetta; ci sono passi falsi, scuse, tentativi, altri tentativi, incontri e di nuovo passi falsi. Nella terminologia dei sistemi, l’interazione tipica è disordinata: parte da stati di incontro (match) di significati e intenzioni condivise (coordinati, sincroni) a stati di riparazione (mismatch) (scoordinati, non sincroni) e di nuovo a stati di incontro attraverso un processo di riparazione attivo e congiunto. Questa generale mancanza di coordinazione – confusione – suggerisce che neonati e caregivers non condividono intenzioni simili per la maggior parte delle volte durante l’interazione faccia a faccia (es. il caregiver guarda il neonato mentre il neonato guarda lontano) e che non possono continuamente coordinare i loro stati di coinvolgimento.
Cosa spiega tutta questa confusione interattiva? Ci sono molte possibili ragioni per questo, come il declino dell’attenzione di ogni partner o il cambiamento di intenzioni, la rapidità dello scambio in decimi di secondo e l’immaturità del neonato (Tronick, 1989, 2005). Qualsiasi sia la ragione, la confusione è una qualità intrinseca delle interazioni neonato-caregiver e pertanto il compito di costruire significati condivisi è spaventoso per neonati, bambini e anche adulti.
La video microanalisi ha dimostrato che le diadi neonato-caregiver tipicamente riparano rapidamente le rotture interattive attraverso processi cocreativi, con implicazioni per la costruzione di significato condivisa. In uno studio (Gianino & Tronick, 1988) le rotture madre-neonato venivano riparate il 70% delle volte nel successivo step di interazione, con nuove riparazioni che avvengono ogni 3-5 secondi. A turno, le nuove riparazioni diadiche formate, venivano seguite dal riemergere di rotture, che erano seguite da riparazioni di rotture fino all’incontro e, noi ipotizziamo, la formazione di nuovo significato. In particolare, i momenti di incontro diadico sono associati agli affetti positivi e al coinvolgimento del neonato, mentre le rotture diadiche sono associate agli affetti negativi e alla disregolazione (Tronick, 1989).
Funzioni della riparazione
Da vari sistemi percettivi, noi sosteniamo che la capacità diadica interattiva per rimediare gli errori sia essenziale per la crescita; infatti, è la pietra basilare per la creazione di nuovi significati. A supporto abbiamo due esempi di riparazione: uno, imparare come giocare a giochi interattivi tipo il cucù e due, come acquisire – in linea con la propria cultura – modi appropriati di stare insieme. Entrambi sono processi prettamente sociali e “casuali”.
Un bambino, che impara a giocare al gioco del cucù, è impegnato in una serie di tappe, in un processo riparatore di cambiamento e modifica di errori (sbagliando a rispondere, distogliendo lo sguardo troppo presto, o limitandosi a guardare) organizzando poi il gioco in una sequenza coordinata di fasi che, alla fine, che diventa sempre più simile alla forma di gioco conosciuta dall’adulto (Bruner, 1990).
Per il bambino, sono ora disponibili nuove informazioni per come giocare con l’adulto (guardare diversamente, nascondere il proprio viso, guardare ancora) e, oltre al gioco, la corretta modalità (coordinata all’altro) viene selezionata e incorporata, andando ad aumentare la complessità del bambino stesso. Quindi, con il tempo e la ripetizione, sono accumulati più significati selezionati, e il gioco del cucù è mentalizzato dal bambino nella sua conoscenza. A sua volta, l’acquisizione di nuove informazioni comporta la scelta futura, da parte del bambino, di nuovi comportamenti da utilizzare (es. distogliere lo sguardo, poi nascondersi e quindi “riapparire”).
Al di là dell’attività ludica, il bambino ha il complesso compito di dare un senso al proprio mondo, nel suo unico contesto culturale, un mondo in cui le categorizzazioni sono storiche, arbitrarie, sfumate e altamente concettualizzate (LeVine, 1990). I bambini nascono in un mondo a cui non possono né storicamente né culturalmente essere già adattati e che non possono prevedere. In questa situazione, i bambini devono imparare specifici modi – culturalmente validi – di stare insieme, una forma di conoscenza implicita relazionale (Tronick et al, 1998) che impegna completamente i processi di formazione di significato bio-psico-sociale. Noi presenteremo un solo esempio, ma consigliamo al lettore di tenere in mente che ne esistono una miriade e di come siano radicalmente differenti in base alla cultura di appartenenza (LeVine, 1990).
Tra i Gusii, una comunità agricola nel sud ovest del Kenia, la mopdalità di interazione affettuosa tra madre e figlio differisce significativamente da quella statunitense, più esuberante (LeVine ,1990). In Questa modalità interattiva, lo sguardo nella diade non è sempre coinvolto, risultando così lo scambio più controllato.
Come parte di uno studio cross-culturale (LeVine, 1990; Tronick, 2005), è stato proposto a delle madri Gusii un’attività face-to-face con i loro bambini, attività a cui solitamente questi non partecipavano. La microanalisi dei video delle loro interazioni ha dimostrato come le madri distogliessero lo sguardo dai bambini, quando questi ricercavano il contatto visivo e sorridevano, esattamente la configurazione opposta da quanto osservato tra le madri e i bambini occidentali. In risposta, i bambini Gusii distoglievano lo sguardo anche loro e i sorrisi scomparivano; sembrava che si “sgonfiassero”. L’intento iniziale dei bambini, lo sguardo e il sorriso che significavano “Io voglio interagire” erano però disattesi dal comportamento non verbale delle madri, “Io no” o, più accuratamente, “Non così”.
Perché le madri all’interno di questa comunità si comportano in questo modo? Le madri Gusii non tendono a interagire reciprocamente ai sorrisi dei loro figli perché la loro modalità è ormai fissata culturalmente in modo specifico, che preclude l’esuberanza; il contatto visivo e manifestazioni eccessive di affetto comporterebbero la violazione di norme culturali. La differenza di coordinazione diadica suggerisce che uno statico diadico non è creato in quel momento, e che il voltarsi del bambino sia una conseguenza di un’esperienza negativa, forse riflettendo una riduzione di complessità. Ma poi, come si coordina la coppia madre-figlio in questa comunità? E in che cosa consiste la coordinazione?  La nostra ipotesi è che il bambino e il caregiver debbano scoprire e co-creare una forma di scambio affettivo  culturalmente appropriata (“naturale”). Come i bambini imparano i giochi sociali, i bambini Gusii apprendono il corretto modo di relazionarsi nella coppia secondo la cultura di riferimento in un processo a tappe. Gradualmente i bambini diminuiscono i loro sguardi e limitano le proprie espressioni affettive. Di conseguenza le madri rispondono reciprocamente. Con l’interazione, i bambini selezionano una serie di comportamenti in linea con la sobrietà degli scambi Gusii, e facendo queste scelte formano uno stato tipico culturale. Mentre gli scambi eccessivamente connotati affettivamente comportano una riduzione di complessità a breve termine a causa di pattern non possibili o non permessi, gli scambi affettivi più controllati portano, a lungo termine, a un incremento della complessità, poiché permettono ai bambini Gusii di interagire con gli adulti in modo culturalmente accettato.
Noi potremmo notare che ci sono madri americane che si comportano come quelle Gusii, i clinici potrebbero asserire che si tratta solo di certe madri e di certe relazioni madre-bambino. Noi possiamo solo ipotizzare cosa penserebbe un clinico Gusii riguardo alle modalità interattive madre-bambino occidentali, ma non avremmo dubbi che le definirebbe patologiche. Il punto è però che, rispetto alle marcate differenze tra Gusii e occidentali, entrambe le modalità sono co-costruite attraverso la reiterazione, in un processo selettivo di riparazione, guidato dalla complessità. Comunque questo processo selettivo porta una maggiore complessità e coerenza alla diade, e ogni pattern è funzionale alla crescita dei bambini nel loro contesto.
Perciò, i processi diadici di riparazione, che hanno successo, hanno effetti positivi sulla crescita. Possiamo ipotizzare che lo sviluppare una sequenza di riparazioni con successo con una specifica persona, anche in un’attività come il gioco del cucù, possa portare a una conoscenza implicita dei bambini che “possiamo riparare le incongruenze”. Questo comporta una credenza di maggiore fiducia e alla capacità di instaurare un attaccamento ti tipo sicuro con il caregiver (Cohn, Campbell, Ross, 1991).
Con il seguirsi di riparazioni a buon fine, i bambini acquisiscono la conoscenza implicita che la loro disregolazione emotiva e il senso che “qualcosa stia andando male” possa essere trasformato in uno stato positivo e in una sensazione che “le cose andranno bene” (Harrison, 2003). Questo processo comporta al bambino una maggiore padronanza e un incremento del sense of agency. (Brazelton, 1992).
Oltre agli effetti nei momenti di interazione, i bambini sviluppano un umore positivo o un senso generale di benessere (Emde, 1983; Kochanska, 2002; Tronick, 2005).  L’attivazione di questo nucleo di affetti positivi, spinge il bambino a reagire con sentimenti positivi verso situazioni ancora nuove, da scoprire, e a incrementare la propria resilienza e benessere. In questo modo, l’umore dei bambini è tipo-Giano, perché per fronteggiare il presente si basano su esperienze passate avendo delle aspettative per il futuro. L’umore dei bambini è composto anche da processi mnemonici, nonostante non siano ancora presenti le capacità verbali o simboliche e non siano coinvolti processi cognitivi impliciti o espliciti (Tronick, 2002). Possiamo ipotizzare che questi processi siano fondamentali per l’emergente organizzazione dello stato di coscienza bio-psico-sociale del bambino.
Fallimenti nelle riparazioni: Esempi dalla ricerca con il paradigma still face
I fallimenti nelle riparazioni comportano conseguenza problematiche: il paradigma dello still-face li evidenzia (Adamson e Frick, 2003), è stata proposta una procedura sperimentale, utilizzata soprattutto con coppie madre-bambino occidentali, in cui il processo diadico della creazione di significato era stato ostacolato. In una situazione di tipica interazione sociale, era richiesto al caregiver di mantenere una faccia neutra senza toccare o parlare al bambino. Questa situazione comportava la creazione di un prolungato non adattamento diadico, a causa del non utilizzo del solito comportamento interattivo del genitore. Un momento di riunione seguiva lo still-face, in cui il genitore riassumeva il solito atteggiamento e rendeva così possibile una riparazione (Tronick, 2007).
L’effetto dello still-face sul bambino e sul neonato è ben descritto nei lavori di Mesman e colleghi (2009) e di Weinberg (2008). Bambini in età preverbale reagivano allo still-face con sollecitazioni, con rabbia e disagio, con tristezza e rifiuto, mentre i bambini in età verbale chiedevano alle madri “Cosa stai facendo?” e chiedevano loro “Parlami!”. Durante i momenti successivi di riunione, i bambini riportavano un’affettività negativa e una bozza di affettività positiva, e nei tentativi di riparazione della diade, si comportavano in modo evitante e ambivalente (Mesman et al, 2009; Weinberg et al, 2008). Gli adulti nelle simulazioni dello still-face avevano simili reazioni, anche se erano a conoscenza della simulazione (Tronick, 2005). Possiamo ipotizzare che il fallimento delle riparazioni possa portare alla formazione di una conoscenza implicita che “non possiamo riparare i disallineamenti”. Questo senso di fallimento può avere come conseguenza un attaccamento di tipo insicuro con una certa persona e può indebolire la fiducia del bambino nelle persone (Cohn et al, 1991; Tronick, Cohn & Sheah, 1986).
In modo critico, il processo di riparazione co-creato dalla diade è unico, perché formato da persone diverse in contesti diversi. Ad ogni modo, questi processi possono avere caratteristiche diverse nelle specifiche relazioni delle diadi e, in ultimo, per i risultati variabili dei bambini. Utilizzando una metafora, il processo di riparazione di ogni diade crea un unico “paesaggio psichico”. A Fattori endogeni o esogeni, i bambini rispondono diversamente ai loro padri e alle loro madri (Aksan, Kochanska, Ortmann, 2006; Feldman, 2003; Parke, 2000), come le coppie madre-bambino e padre-bambino hanno un diverso modo di stare insieme. Anche se la letteratura a riguardo è meno consistente (Mesman et al., 2009), bambini e bambine rispondono diversamente agli eventi strassanti, come allo still-face della madre (Tronick e Cohn, 1989), e come madri e padri hanno diverse finalità verso i figli maschi o femmine (Golombok e Fivush, 1994). Diversi modi di stare insieme possono essere co-create anche in diadi specifiche in cui i bambini hanno un carattere più o meno semplice, quando i genitori non hanno un adeguato supporto sociale o devono fronteggiare più eventi stressanti (Greenspan, 2008; Sameroff, 2000) o quando i genitori vivono in differenti contesti culturali (LeVine et al., 2008). Nonostante non sia possibile categorizzare gli effetti di tutte le variabili che rendono la diade unica, possiamo assumere che qualsiasi fattore che abbia un effetto sul bambino, sul caregiver e sugli scambi tra questi e sulla creazione di significati porta all’unicità e alle differenze individuali.
Nonostante ci sia per noi una grande rilevanza della relazione su questo argomento, in accordo con altri (Beebe et al., 2010; Fogel, 2006), non riteniamo che in questo processo di creazione di significati sia unicamente coinvolta la diade. Anche quando i significati sono generati in un contesto di interazione, possono esserci le influenze di processi endogeni di auto organizzazione. I processi di auto-organizzazione possono incrementarli o diminuirli, giocando un ruolo centrale nel raggiungimento di significati nel bambino (Smith & Thelen, 2003). Inoltre , i processi di auto-organizzazione possono portare alla creazione di nuove caratteristiche (Kaufman, 1995; Modell, 1993; Sander2004). Per esempio, bambini con un migliore adattamento possono essere più inclini a esplorare e, in conseguenza, a scoprire nuovi significati relativi a sé rispetto al mondo, che andranno poi a rafforzare la loro sicurezza e ad amplificare la loro spinta conoscitiva Emde, 1983; Tronick, 2005, 2007). Ma, quando questi processi di auto-organizzazione falliscono, i bambini possono incappare in ostacoli evolutivi, e con la persistenza di fallimenti, in arresti evolutivi.
Nonostante il focus in questo articolo sia sull’infanzia, la riparazione diadica è un processo dinamico che interessa l’intera vita. Come Gottman e Driver, le riparazioni nella coppia di partner è fondamentale per renderla più forte. Ha inoltre un’importanza fondamentale nella costruzione di una forte alleanza terapeutica nella relazione clinico-paziente (Tronick et al., 1998).
L’emergere dei problemi di salute mentale
Torniamo ora alla questione di come i bambini sviluppano problemi di salute mentale. A nostro avviso, i problemi di salute mentale sono cocreati da processi di auto-organizzazione che ne conseguono quando i processi riparativi diadici durante le interazioni sociali e i significati associati non vanno per il verso giusto. Tali interazioni sono caratterizzate cronicamente da prolungate mancate corrispondenze (mismatches), da riparazione senza successo, e da un generale fallimento nel ristabilire stati diadici positivi (Tronick et al., 1998). Anche se questi processi possono portare a incrementi della complessità nel momento, alla fine essi formano modi diadici di stare insieme che limitano o escludono future opportunità per i bambini di formare stati diadici positivi e per espandere il loro stato di coscienza.
Un esempio di processi regolativi andati male arriva dalla ricerca sui modelli di interazione dei neonati le cui madri hanno alti livelli di sintomi depressivi (Carter, Garrity-Rokous, Chazan-Cohen, piccoli, e Briggs-Gowan, 2001; Murray & Cooper, 1997; Weinberg , Olson, Beeghly, e Tronick, 2006). Dal punto di vista dei sistemi, si può visualizzare la depressione materna come una condizione trasmissibile nel senso che è associata con una serie di problemi emotivi, cognitivi e comportamentali che sembrano essere trasmessi dal caregiver alla prole nel ciclo di vita (Cicchetti e Toth, 1998; Murray & Cooper, 1997; Reck et al, 2004). Studi longitudinali hanno dimostrato che le madri con un alto livello di sintomi depressivi nei primi mesi dell’anno dopo il parto continueranno probabilmente ad avere sintomi negli anni successivi (Beeghly et al., 2002), e la gravità e cronicità dei loro sintomi sono esacerbati dallo stress indotto da fattori di rischio sociale, come la povertà o la famiglia monoparentale (Beeghly et al., 2003). Di conseguenza, i bambini di madri depresse sono suscettibili ad essere cronicamente esposti a stati d’animo materni negativi e modalità diadiche di stare insieme che comunicano un senso di impotenza e di disperazione. I neonati e i caregiver di questa popolazione possono anche condividere una diatesi genetica e processi epigenetici associati, i quali possono ulteriormente contribuire alla loro vulnerabilità (Cicchetti e Toth, 1998).
Anche se i risultati specifici variano, dato il modo in cui i pattern comunicativi diadici cronici si affermano in diverse diadi, la ricerca ha dimostrato che i bambini di genitori depressi sono più propensi a sperimentare lunghi periodi di affetti negativi durante l’interazione bambino-genitore di bambini di genitori non depressi (Carter . et al, 2001; Weinberg et al, 2006). I ragazzi di madri depresse sembrano essere particolarmente vulnerabili agli effetti della depressione materna (Weinberg et al., 2006). Field (1998) ha mostrato che i neonati di madri depresse si impegnano in modelli più negativi di interazioni con un adulto sensibile non materno e possono anche indurre uno stato d’affetto negativo in quell’adulto. Beebe et al. (2008) trovarono che pattern di contingenza madre-bambino sono alterati dalla depressione materna a quattro mesi di vita dei bambini, anche se gli effetti specifici dello status depressivo variano a seconda del canale di comunicazione specifico (ad esempio, il tatto, la vocalizzazione). Altri hanno riferito che i bambini di madri depresse esplorano l’ambiente inanimato meno avidamente rispetto ai figli di madri non depressi (Murray & Cooper, 1997). Dal punto di vista dei sistemi dinamici, queste differenze nel coinvolgimento correlate alla depressione sono probabilmente collegate a rappresentazioni negative di sé e della relazione madre-bambino, e di adattamenti di sviluppo a lungo termine, perché gli effetti degli adattamenti iniziali si autoamplificano, si accumulano e si stabilizzano tramite feedback negativo (Gelfand e Teti, 1990; Granic & Patterson, 2006).
Si pone la questione del perché i bambini di madri depresse continuano a impegnarsi con la loro madre depressa in modo evolutivamente compromettente, come il loro modo di stare insieme nel momento viene a limitare la loro successiva crescita e lo sviluppo. Noi sosteniamo che il processo selettivo di creazione di significato (meaning-making) di neonati di madri depresse non è dissimile da quello osservato quando i bambini imparano giochi come il gioco del cucù (peek-a-boo) o adottano comportamenti culturalmente specifici, come il saluto Gusii. Durante i giochi del cucù, i bambini piccoli aumentano progressivamente la complessità momento per momento durante il gioco. Nel corso del tempo, la partecipazione ai giochi del cucù permette di far crescente la complessità, perché i bambini più maturi possono giocare il gioco in maniera più reciproca. Con la crescente maturità legata allo sviluppo, tuttavia, i bambini smettono di essere interessati al gioco del cucù, perché questo gioco non aumenta più la complessità. Allo stesso modo, anche i bambini Gusii come sistemi aperti devono trovare il modo durante le interazioni sociali con gli altri per aumentare la complessità dei loro stati di coscienza e evitare la dissipazione. Anche se i vincoli culturali limitano i neonati e le madri Gusii di impegnarsi in scambi esuberanti faccia a faccia che portano alla crescita in altre società, le coppie madre-bambino Gusii trovano altri modi culturalmente appropriati per interagire che portano alla crescita incrementale della complessità (ad esempio, forme di scambio Gusii). Così, la limitazione della crescita dei sistemi a breve termine è superata e soddisfa il principio di crescente complessità nel lungo periodo.
Per motivi analoghi, i neonati di madri depresse devono interagire con le loro madri, anche se le loro interazioni sono caratterizzate da affetti negativi, rotture (mismatches) e riparazioni inefficaci. L’alternativa di non impegnarsi per nulla con le loro madri è una scelta impraticabile. Il disimpegno sociale grave o cronico è un disastro psichico perché i processi di auto-organizzazione infantili sono limitati, e alla fine essi perderanno l’organizzazione e si dissiperanno (Nelson et al, 2007;. Spitz, 1946). Nel fare questi confronti, non stiamo affermando la “normalità” delle interazioni tra le madri depresse e i loro bambini, ma piuttosto che il processo di creazione di significato (meaning-making) durante l’interazione caregiver-bambino è simile in contesti diversi, siano essi giochi sociali, interazioni culturali o scambi depressi. In ciascun caso, un contesto di crescita è limitato nel momento, e che la restrizione ha diverse conseguenze a lungo termine per la salute futura o la crescita patologica.
Come sistemi aperti, i bambini di madri depresse selezionano un insieme di significati tra quelli disponibili che aumentano la complessità e la coerenza del significato costruito nel momento. I neonati possono imparare che “possiamo essere tristi insieme” o affrontare l’alternativa dissipazione di interazioni infrequenti o conflittuali. Con la co-creazione di questo triste significato, i neonati e le madri possono rimanere impegnati, con qualche conseguente incremento della complessità dello stato di coscienza biopsicosociale dei neonati. Nel corso del tempo, il modo triste di stare insieme queste diadi potrebbe stabilizzarsi e divenire il loro modo caratteristico di stare insieme (Beebe et al, 2008; vedi anche Campbell & Cohn, 1991; Campo, 1995; Murray & Cooper, 1997). Sebbene questi stati di coscienza possono essere coerenti e aumentare la complessità nel momento e nel breve periodo, l’interazione con il genitore depresso diventa sempre più ristretta e rigida nel lungo periodo. A sua volta, la qualità del coinvolgimento raggiunto dai neonati o dai bambini con i loro caregiver depressi diventa più limitata e limitante (Beebe et al, 2008;. & Campbell Cohn, 1991; Campo, 1995, 1998; Murray & Cooper, 1997).
In sostanza, è necessario riconoscere che il processo di selezione di significati che sono incorporati in uno stato di coscienza o organizzati in un modo di stare insieme non è sempre adattivo (cioè, il processo è cieco di conseguenze a lungo termine). Cioè, la creazione di significato (meaning-making) semplicemente opera per massimizzare la complessità selezionando ciò che meglio si adatta insieme da ciò che è già disponibile. Essa opera anche se i costi a lungo termine sono estremamente alti, perché, nel momento, l’alternativa è quella di dissipare e perdere la coerenza e la complessità del mondo – deve essere evitata una perdita dei sistemi aperti (Prigogine e Stengers, 1984; Tronick, 2005) .
La selezione cieca per la complessità e la coerenza nel momento aiuta a chiarire un fenomeno che è difficile da spiegare con i tradizionali modelli psicodinamici o comportamentisti. Proprio come il neonato dei macachi rhesus resta attaccato ai genitori negligenti o respingenti e gli adulti umani spesso non sono in grado di lasciare partner violenti, i neonati e i bambini umani è plausibile che formino attaccamenti ai genitori violenti, anche se tali attaccamenti sono insicuri nella qualità. Tuttavia la ricerca suggerisce che il maltrattamento dei genitori è collegato a conseguenze negative a lungo termine, come ad esempio l’attaccamento disorganizzato e l’atipico sviluppo del sé(Beeghly e Cicchetti, 1994; Cicchetti & Barnett, 1991; van IJzendoorn, Schuengel, e Bakermans-Kranenburg, 1999). Quindi, cosa tiene questi bambini nella relazione? Bowlby (1980) sosteneva che l’attaccamento è un sistema biocomportamentale radicato nella storia evolutiva che promuove la sopravvivenza, e lui e altri hanno postulato che la sicurezza percepita è l’emozione fondamentale sottostante l’attaccamento e il benessere (Cummings, 1995).
E ‘difficile immaginare come i genitori maltrattanti potrebbero migliorare la sopravvivenza del loro bambino o come essi potrebbero promuovere la sicurezza percepita nei loro bambini. La nostra opinione è che, come i bambini di genitori depressi, i bambini di genitori abusanti o negligenti affrontano un dilemma. Per evitare il caregiver tossico, i bambini possono ritirarsi e autoregolarsi (una scelta che alla fine porterà a diminuire la complessità e la crescita compromessa come un sistema, a schemi potenzialmente disfunzionali di impegno con gli altri, a psicopatologia e alla dissipazione come sistema) o mantenere la loro presenza nella relazione disfunzionale e guadagnare qualunque complessità da essa è possibile, a qualunque costo a lungo termine. Quest’ultima è l’unica scelta praticabile (il minore dei due mali), e anche se limitati, questi bambini possono in questo modo sviluppare un senso centrale di se stessi, del genitore, e della loro relazione anche se queste rappresentazioni sono negative e portano a futuri esiti disadattivi e persino psicopatologici (Sroufe, 2009).
Implicazioni cliniche e conclusioni
Lo studio delle dinamiche del meaning-making  getta luce su come i bambini possano sviluppare esiti sia resilienti che maladattivi durante l’infanzia e la prima fanciullezza. Da ciò ne conseguono diverse implicazioni cliniche. Per i bambini e le madri in terapia, questa prospettiva aumenta l’importanza dello studio dei processi diadici comunicativi (per es. i loro processi interattivi cronici reiterati) così come il matching, il mismatching e la riparazione che procedono momento per momento come un meccanismo centrale che genera il pieno range di sviluppo tipico e atipico (Beebe et al., 2008, 2010; Tronick et al., 1998).
Questi processi divengono i vincoli che successivamente modellano l’esperienza momento per momento man mano che lo sviluppo procede. In contrasto con approcci centrati sul trauma come meccanismo primario che genera problemi di salute mentale, noi abbiamo sostenuto che un focus più intenso sulla vita dei bambini e dei genitori così come essa è vissuta – nei suoi momenti più quotidiani – sia giustificato. Mentre non nega gli effetti del trauma, questa prospettiva vede il trauma come una interruzione e distorsione del meaning making e della selezione di significati nel momento.  Il trauma crea significati fissi che limitano l’espansione della complessità nei sistemi diadici aperti, e noi riteniamo che ciò possa realmente compromettere il processo di creazione di significato in sé stesso. Inoltre, gli effetti tossici del trauma su un bambino piccolo si amplificano nel tempo poiché tali effetti distorcono e precludono altri tipici processi di costruzione di significato  su cui si fondano degli esiti di sviluppo positivi (Osofsky, 1995; Pollak, Cicchetti, Hornung, & Reed, 2000).
Focalizzandosi sulle esperienze sociali croniche, momento per momento, dei bambini e dei caregivers, questo approccio richiede che gli interventi clinici coi bambini debbano coinvolgere i caregivers e che i caregivers, parimenti, debbano modificare i loro modi di stare insieme con i propri bambini. Negli interventi con i bambini, inoltre, i caregivers devono attivamente sostenere le intenzioni e il meaning making dei loro bambini e simultaneamente costruire nuovi significati con loro al fine di indurre il cambiamento. Questo approccio ha probabilità di successo se comincia presto e viene reiterato spesso, in quanto i bambini sono sistemi in via di sviluppo e particolarmente aperti al cambiamento (Gottlieb & Halpern, 2008; Sander, 2004). Anna Freud riconobbe questo quando scrisse che l’obiettivo della terapia era di riportare i bambini sulla traiettoria del loro sviluppo (Freud, 1974). Il cambiamento con pazienti adulti è più difficile perché buona parte della loro organizzazione si è già fissata, e una organizzazione compromessa genera ansia e resistenza (Sander, 2004).
In alcuni casi, il fatto che i bambini sviluppino una relazione terapeutica con una persona altra rispetto al caregiver disturbato può proteggerli in quanto ciò dà loro la possibilità di sviluppare modi di stare con gli altri che non sono solo generativi per future relazioni con gli altri ma anche, reciprocamente, possono aiutare a indurre il cambiamento nei loro caregiver(s). Cioè, i bambini come sistemi aperti possono svolgere una funzione terapeutica con i loro caregivers (Field, 1998), e l’interscambio può auto-amplificarsi in un circolo virtuoso (invece che vizioso). Noi crediamo che i caregivers necessitino anche di essere in una loro propria terapia al fine di far trasformare i significati che mantengono le distorsioni delle loro interazioni con i loro bambini piccoli. In altri contesti terapeutici (con l’eccezione della terapia familiare), un terapeuta che lavora con una coppia e anche individualmente con uno o entrambi i membri della coppia potrebbe esser visto come coinvolto in una violazione di confine, con molti problemi correlati. Comunque, nel lavoro nell’abito della salute mentale dei bambini, tale intervento col  sistema multi-paziente può essere estremamente efficacie nel sostenere il processo del cambiamento.
I significati arrivano in una moltitudine di forme differenti (polimorfici), e noi non abbiamo identificato tutti i modi con cui i bambini e i caregivers formano diversi significati individuali e condivisi o tutti i modi in cui tali significati possono cambiare. Una implicazione è che le psicoterapie infantili che fanno affidamento esclusivamente su una sola forma di meaning-making (per es. terapie diadiche, cognitive o corporee), siano esse focalizzate sui genitori o sui bambini, o che hanno un focus sulla relazione, possono avere solo un successo limitato poiché possono essere in grado di “replicare” solo alcune delle forme di significati realizzati ad altri livelli. La natura multi-sfaccettata dei processi di costruzione del significato dei bambini suggerisce che un’ampia varietà di terapie potrebbe risultare utile, come il tatto, il massaggio, il tenere in braccio, il giocare da solo e con altri, la reverie, la mindfulness e altri stati, e interventi psicofisiologici interventions (Field, 2003; Ham & Tronick, 2009; P. Ogden, Minton, & Pain, 2006; T. Ogden, 1997; Siegel, 2010). Sono altresì necessari molteplici modi di lavorare coi le diadi bambino-caregiver, e forse lo stesso vale per le terapie degli adulti.
Inoltre, i clinici che lavorano con diadi bambino-caregiver a rischio necessitano di riconoscere e tollerare il disordine intorno a stati negativi che si genera nelle tipiche interazioni, ciò che Brazelton (1992) nel suo modello Touchpoint chiama “valorizzare la disorganizzazione”. Una simile tolleranza non è sempre facile o comoda perché induce una perdita di complessità nel sistema (dissipazione). Essa può inoltre incrementare l’ansia sia nel genitore che nel terapeuta, forse esitando in azioni problematiche atte a controllare l’ansia del terapeuta. Comunque, quando si guarda alla diade bambino-caregiver come un sistema aperto, i terapeuti devono permettere la disorganizzazione interattiva (disordine) e talvolta anche indurla per superare pattern rigidi. Loro poi devono attivamente supportare i caregivers e i bambini nel tentativo di co-creare strategie reciproche per modulare e riparare i loro stati affettivi negativi durante interazioni sociali e per co-creare nuovi significati. Poi, man mano che si formano significati nuovi e più complessi, i bambini e i caregiver (e i terapeuti) possono aumentare la fiducia nelle loro capacità di coping e nell’affidabilità degli altri, che possono amplificare la possibilità di cambiamento. Il nostro focus sugli interscambi dinamici momento per momento tra bambino e caregiver sottolinea il concetto che ogni relazione bambino-caregiver è unica, e quindi i progetti di intervento non dovrebbero essere eccessivamente stereotipati o rigidi ma piuttosto dovrebbero focalizzarsi sulle differenze individuali. Assumere questa prospettiva nella psicoterapia potrebbe infine portare alla generazione da parte nostra di tecniche dinamiche non-lineari per indurre il cambiamento.
Un vantaggio importante di questa prospettiva è il riconoscimento che il processo di attribuzione di un senso al mondo è un processo transazionale che dura tutta la vita, non [è]  una prospettiva evolutiva in cui solo le esperienze precoci o i geni da soli rigidamente determinano gli esiti futuri (Kagan, 1998). Piuttosto, sebbene il passato vincoli il futuro, per tutto l’arco di vita c’è sempre la possibilità di creare nuovi significati di sé e del mondo che sono compatibili con l’età e polimorfici nel carattere .  Nel qui e ora e lungo il tempo, questi significati diventano maggiori in coerenza e complessità e, allo stesso tempo, sono vincolati dal passato. Ancora più vitale è il bisogno di riconoscere che nessuna connessione tra gli individui è perfetta; nonostante  questa imperfezione, i processi riparatori diadici generano significati unici, e nuove connessioni emergono. Tale è la meraviglia della condizione umana: l’emergere di nuovi modi di stare insieme e nuovi significati in relazione al mondo e al proprio Sé.